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La crisi alimentare in Africa apre spazi di influenza per la Russia

Di Emanuele Rossi e Otto Lanzavecchia

La crisi alimentare sta colpendo soprattutto Paesi con condizioni di fragilità preesistenti, come quelli africani. La Russia potrebbe usare l’aggressione in Ucraina come arma ibrida per destabilizzare certe regioni e rafforzare la propria posizione con alcuni interlocutori, al fine di costruire maggiore influenza

C’è una collage di immagini pubblicato dal politologo Ian Bremmer che descrive bene l’atteggiamento con cui la Russia intende porsi in Africa, rispetto al mondo occidentale. Da una parte il presidente Vladimir Putin fotografato al famoso tavolo di distanziamento negli incontri con Emmanuel Macron, Olaf Scholz e con Antonio Guterres dell’Onu. Dall’altra è seduto in poltrona, diviso solo da un tavolino, quando ha ricevuto Macky Sall, presidente senegalese attualmente alla guida dell’Unione Africana, UA.

Serve a mandare un messaggio immediato: distacco da un lato, vicinanza dall’altro. L’Africa, di cui Sall rappresenta l’organizzazione internazionale che ne raccoglie 55 membri, è uno degli ambiti in cui la Russia intende proiettare la propria politica estera – con collegati i propri interessi geoeconomici e commerciali – da tempo. Ora, alla luce delle nuove sanzioni occidentali collegate all’invasione ucraina, diventa uno spazio di azione ancora più necessario per il Cremlino.

Il presidente dell’UA da parte sua recepisce questo interessamento e lo usa per spingere la propria narrazione, accusando l’Europa e l’Occidente di non pensare alle necessità africane. Punti ripetuti durante il recente intervento all’International Economic Forum di Parigi, esternati già più volte durante il corso di questi mesi in cui ha sottolineato come le ricadute della guerra avrebbero avuto effetti sul continente. Evidenziando in modo pragmatico la situazione, spiegando in sé le ragioni per cui i Paesi africani si trovano su una posizione ambigua riguardo a ciò che sta accadendo.

Nell’incontro con il presidente russo la crisi alimentare globale è stata sul tavolo, come in vari altri faccia a faccia con attori internazionali avuti da Sall, ma in modo più diretto visto il coinvolgimento russo sulle ragioni del caos in corso. Mosca accusa Kiev di aver minato il Mar Nero (per bloccare le navi d’assalto russe) e per questo il commercio del grano ucraino – quarto più grande al mondo – è fermo. Kiev accusa Mosca di usare la commodity come arma di guerra ibrida per mettere in difficoltà la Comunità internazionale e costruire una narrazione sulle responsabilità contro l’Ucraina.

Nei giorni scorsi un deposito di grano è finito sotto i bombardamenti russi, mentre la Turchia ha approfittato di vestire il ruolo di mediatore internazionale — che Ankara costruisce anche con un occhio a Paesi terzi come quelli africani in cui sta cercando di approfondire il suo consensus – proponendosi di scortare i cargo contenenti grano lungo il Mar Nero fino al Bosforo.

La guerra scatenata da Putin sta attualmente bloccando le esportazioni di circa 25 milioni di tonnellate di grano ucraino. Un peso per il mercato. Il Cremlino incolpa anche le sanzioni occidentali che colpiscono le sue esportazioni durante la crisi in corso. Il presidente russo ha proposto di spostare il grano attraverso corridoi lungo il Mar Nero e attraverso la vicina Bielorussia, mentre si susseguono denunce da Kiev su carichi rubati e venduti da cargo russi in modo informale.

Anche Sall si è allineato alle accuse russe sulle sanzioni europee, dichiarando che aver rimosso gli istituti russi dal sistema Swift ha creato contraccolpi problematici per i Paesi africani. “Anche la Bielorussia è sottoposta a sanzioni, anche se in realtà è la via più diretta”, ha sottolineato. Un allineamento dettato anche dalla necessità di garantire l’arrivo di grano nei Paesi africani, per cui la sicurezza alimentare è troppo cruciale per potersi permettere distinguo diplomatici. In alcune nazioni il peso dell’inflazione alimentare è già al 15%, a causa di una serie di aumenti dei prezzi costante da marzo a oggi (dati FAO). Molti di queste realtà sono già vulnerabili perché colpite dalla pandemia, perché sofferenti di condizioni economiche fragili e condizioni debitorie pessime.

Considerando che l’export dei prodotti alimentari è concentrato per l’86% in una decina di Paesi, e tra questi c’è l’Ucraina, è evidente come la guerra non si combatta solo sul campo, ma abbia effetti interconnessi su tutti i cittadini della comunità globale. La sicurezza alimentare, di cui si parla in queste settimane, ha tre condizioni necessarie, sebbene non sufficienti: disponibilità del cibo, prodotto o importato; accessibilità del cibo, sia geograficamente che economicamente; assimilabilità del cibo, affinché i nutrimenti contenuti siano conservati bene da poter essere assimilati in modo corretto da chi li consuma.

Si tratta di tre situazioni spesso non soddisfatte in Africa. La fragilità prodotta alla pandemia, che nel continente ha anche causato un aggravamento delle epidemie di altre malattie presenti da tempo, ha fatto aumentare pure il numero di persone che soffrono di insicurezza alimentare. Secondo il World Food Programme, entro la fine del 2022, nel continente africano ci saranno almeno altre 50 milioni di persone esposte alle fame – portando il totale a 325 milioni.

La presenza di condizioni di instabilità e guerre civili, dalla crisi etiope ai recenti scontri in Burkina Faso, aggrava ulteriormente lo scenario. Molte persone concentrate in zone rurali di Paesi che importano derrate alimentari dall’Europa (in particolare da Russia e Ucraina) subiranno rallentamenti anche nell’accesso a migliori condizioni igieniche e sanitarie, o scolastiche – dato che la capacità di spesa famigliare sarà dedicata all’acquisto di cibo a prezzi più alti.

Inoltre, iniziano a vedersi fenomeni di scontro interno, con Paesi come Nigeria, Sudafrica o Etiopia, che hanno scelto di restringere alcune esportazioni alimentari, bloccando filiere e scambi commerciali, e creando altri problemi. Oltretutto, questo avviene in contesti resi ancora più delicati dal cambiamento climatico, con le questioni legate alla desertificazione e in generale al surriscaldamento ambientale che rendono no complicato (per quei livelli di sviluppo) le coltivazioni e gli allevamenti.

In tutto questo, la Russia potrebbe usare la situazione che si è prodotta dopo la scelta di attaccare l’Ucraina con un doppio vantaggio. Da un lato potrebbero crearsi processi di disturbo a certo equilibri regionali (si parla molto di come l’aumento del costo dei prodotti alimentari abbia pesato tra le scaturigini delle Primavere arabe, con quello che hanno rappresentato anche per l’Occidente in termini di sicurezza e stabilità). Dall’altro Mosca potrebbe approfittare per fornirsi come interlocutore, avendo in mano il boccino del gioco, e usando le forniture come strumenti di ulteriore penetrazione e influenza con certi Paesi.

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