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Il Covid spinge ancora la rilocalizzazione. Chi abbandona la Cina

Apple ha deciso di trasferire, per la prima volta, parte della capacità produttiva degli iPad dalla Cina al Vietnam, come conseguenza dei rigidi lockdown imposti dalle autorità di Pechino. Una dimostrazione che l’impatto della pandemia Covid-19 non è ancora finito e, forse, per l’economia cinese il peggio deve ancora arrivare…

 

Un altro addio per la Cina. Dopo Adidas e molte altre aziende che hanno deciso di spostare la produzione fuori dal territorio cinese, tra cui un centinaio di imprese italiane negli ultimi anni, secondo il report di Gruppo di ricerca Uni-Club MoRe Reshoring ripreso da Wired, è arrivato il turno di Apple.

Il colosso americano della tecnologia ha deciso di trasferire per la prima volta parte della capacità produttiva degli iPad dalla Cina al Vietnam, come conseguenza dei rigidi lockdown imposti dalle autorità di Pechino per contenere la pandemia e mantenere la politica di zero Covid.

Secondo il quotidiano Nikkei Asia, Apple ha anche chiesto a diversi fornitori di accumulare scorte di magazzino in vista di futuri disagi e mancanze nella catena di produzione. Byd, azienda cinese che assembla gli iPad, ha assistito Apple nella realizzazione di linee di produzione nel Vietnam, e potrebbe avviare una produzione limitata dei tablet in quel Paese asiatico. Così si prevede che gli iPad saranno il secondo tra i prodotti di Apple realizzati nel Vietnam, dopo le cuffie AirPods.

Apple aveva già in programma di spostare una parte della produzione di iPad in Vietnam, ma il progetto è stato rimandato più volte a causa dell’ondata di Omicron nel Paese del sudest asiatico.

La rilocalizzazione della produzione di Apple fa parte di uno sforzo più ampio per diversificare la catena di forniture, dopo i problemi logistici che si sono verificati durante la pandemia.

Nel 2021, Apple ha venduto circa 58 milioni di iPad, e gran parte di questi sono stati costruiti in base a forniture dalla Cina. Per la strategia della compagnia statunitense, il Vietnam sta assumendo sempre di più un ruolo strategico nella ricerca di alleggerire la dipendenza dalla Cina, in seguito alle tensioni nella “guerra commerciale” del governo cinese con gli Stati Uniti durante il mandato di Donald Trump. Da allora, l’amministrazione del presidente Joe Biden non ha cambiato i tassi di importazione sui prodotti cinesi, per cui produrre in Vietnam (dove la mano d’opera costa anche poco) risulta più conveniente.

In generale, con l’allentamento delle limitazioni per il Covid-19, l’attività delle fabbriche cinesi si è leggermente ripresa. I dati dell’Ufficio Nazionale di Statistiche (Nbs) sostengono che l’indice di gestione di acquisti del settore manufatturiero è salito al 49,6 nel mese di maggio, rispetto al 47,4 del mese di aprile. Tuttavia, l’effetto sulla produzione resta negativo e ferma la crescita economica della Cina nel secondo trimestre dell’anno.

“La produzione e la richiesta sono aumentate, ma la spinta per la ripresa deve essere maggiore”, ha spiegato Zhao Qinghe, analista principale della Nbs.

Pang Ming, economista di Huaxing Securities, crede che “questo dimostra che l’impatto dei focolai di Covid-19 non è finito del tutto, per cui le prospettive economiche sono pessimiste in confronto al 2020”.

Per affrontare la crisi, il governo cinese ha promesso di allargare le riduzioni fiscali, posticipare i pagamenti dell’assistenza sociale e i rimborsi dei prestiti, oltre ad attivare nuovi piani di investimenti per sostenere l’economia, senza però fare marcia indietro sulla politica di zero Covid.

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