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La lunga storia della crisi sanitaria

Covid

“La riforma della medicina territoriale è oggi inderogabile”, dice Stefano Biasoli, past presidente della Confedir, a Giuseppe Pennisi in una conversazione sui problemi del Sistema sanitario nazionale

Ricordo un tempo, nella seconda metà degli anni Novanta, in cui nella veste di docente stabile della Scuola Nazionale d’Amministrazione, dovevo spiegare a delegazioni straniere (spesso francesi) come funzionava il Servizio Sanitario Nazionale, restavano spesso in ammirazione. Una volta si organizzò anche un seminario alla Reggia di Caserta con controparti europee ed asiatiche (Asean). Leggendo i giornali dell’ultima settimana pare difficile che si venga a dare, se non lezioni, indicazioni agli altri: pronto soccorso intasati, scarsità di medici e ancor più di personale paramedico e sociosanitario.

Ne ho parlato con il prof. Stefano Biasoli, past presidente della Confedir (la confederazione dei dirigenti medici), con cui ho condiviso lunghi anni di lavoro al Cnel: “Ci voleva il Covid – esordisce – per far capire anche agli italiani più sprovveduti che il mito della sanità italiana pubblica ‘universale, efficiente, efficace e a basso costo’ era fasullo, quanto meno dagli anni 2010 in poi. Nella realtà – e nei documenti dei sanitari e degli analisti più attenti – dal 1996 in poi le cose sanitarie sono sempre peggiorate, lentamente ma inesorabilmente. Dal 1996, ossia dal ‘teorema bocconiano’ che sosteneva che la sanità pubblica dovesse  basarsi su prevalenti concetti economici, quali il budget delle unità operative e delle strutture ospedaliere (le ‘aziende sanitarie’ o Asl), quali la dirigenza diffusa (medica o infermieristica) con abolizione delle carriere ospedaliere (assistente , aiuto, primario) e quale l’obbligo al contenimento dei costi ospedalieri, arbitrariamente considerati come eccessivi.

Dai contratti ospedalieri del 1998 in poi si è verificato un progressivo arretramento  economico, per i medici ospedalieri e per il personale sanitario ospedaliero, tutto. Contratti in ritardo, finanziamenti  inferiori alle necessità (tecnologiche e di personale), progressiva contrazione dei letti ospedalieri, assoluta inadeguatezza delle strutture per gli acuti (pronto soccorso, rianimazioni, infettivi, nefrologia-dialisi, trapianti, neurochirurgie, cardiologie interventistiche, su tutti). Infine, dal 2011 al 2020, taglio complessivo dei finanziamenti al Ssn, per oltre 35 miliardi”.

“La pandemia – precisa – ha dapprima messo un velo su tutti questi drammatici problemi, con il personale sanitario ospedaliero diventato (peraltro per soli 24 mesi)  ‘eroico’, poiché in grado di affrontare la crisi con grandi sacrifici, pur con mezzi carenti. Ma la stessa pandemia ha poi fatto esplodere i problemi: la poco strutturata risposta della medicina territoriale (Medici di medicina generale MMG, guardia medica, distretti) con ampie fasce di popolazione malservite perché’ abbandonate a domicilio, in balia delle assurde regole e prassi quali ‘vigile attesa e tachipirina’. Quante morti si sarebbero evitate se la terapia domiciliare fosse stata più congrua?

Perché, in Italia, la mortalità da Covid è stata nettamente più alta della media dell’Unione Europea? Ma, su questo, ci sarà tempo e modo per avere chiarezza. Oggi occorre soffermarci su aspetti concreti, frutto di esperienza diretta e indiretta.

In Veneto, dove ho sempre lavorato, circa 380.000 prestazioni ambulatoriali sono state bloccate dalla pandemia. E sarà difficile riuscire a chiudere il gap, data la carenza di personale medico specialistico, in Veneto, esattamente come tutta Italia.

L’allungamento delle liste di attesa porta a situazioni pericolose o paradossali. Ne cito due di questi giorni. Pericolose: una signora di circa 84 anni con una metrorragia in atto da almeno 15 gg, trascurata dal MMG che non si è neppure peritato di chiedere una visita ginecologica urgente per questo problema!

Paradossali: la richiesta di una visita endocrinologica per ‘ipogonadismo’, per un paziente con obesità estrema (oltre 40 kg/m2 di indice di massa corporea), con un diabete mellito scompensato (glicemia mattutina superiore a 400 mg%), nonostante una  terapia insulinica per complessive 84 unità di insulina (rapida e lente) al giorno.

“La risposta spetta ai lettori. Una cosa è certa. La riforma della medicina territoriale è oggi inderogabile, qualunque cosa pensino e desiderino i sindacati di categoria: Fimmg e Snami in primis”.

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