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La Fed aumenta di nuovo i tassi. Fine della Modern monetary theory

Con un’inflazione che corre a più dell’8% su base annua, la Fed è determinata a portare i prezzi sotto controllo. La storia suggerisce che una rapida stretta monetaria spesso precede una recessione. Ma la Fed è convinta che l’inflazione galoppante sarebbe ancora peggiore… Il commento di Giuseppe Pennisi

In qualità di presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, premia la prevedibilità, ed offre di solito agli investitori ampie indicazioni per prepararli ai cambiamenti di politica monetaria. Ma dagli spifferi che gli ultimi giorni giungono da Constitution Avenue, dove ha sede l’autorità monetaria americana, sono stati un vortice di eventi e, soprattutto, di supposizioni.

Prima di lunedì, praticamente si scommetteva che la Fed avrebbe aumentato i tassi di interesse di mezzo punto percentuale oggi mercoledì 15 giugno alla fine di una regolare riunione di fissazione dei tassi. Improvvisamente, il tavolo si è inclinato in una direzione più aggressiva: i mercati hanno ora scontato un aumento di tre quarti di punto. Questo aumento, che porterebbe i tassi in un intervallo compreso tra l’1,5% e l’1,75%, sarebbe il più grande aumento singolo dal 1994.

Il messaggio sarebbe chiaro: con un’inflazione che corre a più dell’8% su base annua, la Fed è determinata a portare i prezzi sotto controllo. La storia suggerisce che una rapida stretta monetaria spesso precede una recessione. Ma la Fed è convinta che l’inflazione galoppante sarebbe ancora peggiore. Stasera sapremo se questi sussurri hanno un seguito concreto. Il quale, a sua volta, avrebbe implicazioni per la Banca centrale europea (Bce) che non potrebbe reggere a lunga una differenza marcata del costo del denaro tra Stati Uniti ed unione monetaria europea.

Vorrebbe anche dire la fine di quella che viene chiamata, la Teoria Monetaria Moderna (nota soprattutto con l’acronimo inglese MMT, Modern Monetary Theory), che pochi economisti italiani hanno preso sul serio, ma di cui si è innamorato un geologo (figlio di un noto economista) il quale ha trovato un paio di cronisti che gli fanno da cassa di risonanza.

La MMT intende descrivere nel dettaglio le procedure e le conseguenze dell’utilizzo della moneta a corso legale emessa dallo Stato. La teoria prende le mosse dal cartalismo che fu presentato per la prima volta dall’economista tedesco Georg Friedrich Knapp nel 1895, con l’importante contributo di Alfred Mitchell-Innes. Il cartalismo influenzò negli anni trenta anche il Trattato sulla moneta dello stesso John Maynard Keynes che cita Knapp e il cartalismo nella pagina di apertura.

La MMT si basa sull’idea piuttosto semplice secondo cui esiste una relazione tra l’inflazione e le scelte di politica monetaria e fiscale del governo. La domanda aggregata, in quest’ottica, può essere fortemente influenzata dalle scelte del governo in termini di moneta, spesa pubblica e tassazione. Negli anni in cui l’inflazione appariva stabilmente bassa, i sostenitori invitano quindi i governi a disegnare politiche espansive, finanziate dalla creazione di moneta. Ma perché leva fiscale e leva monetaria siano perfettamente coordinate, occorre che il governo le controlli completamente, quindi la banca centrale non può essere indipendente ma legata alla politica. In pratica, è lo Stato che crea moneta e di conseguenza il denaro circolante è emesso direttamente dal governo, che non ha bisogno del gettito di tasse e imposte per avere valuta corrente. La tassazione servirebbe, in quest’ottica, soltanto ad attenuare una eventuale inflazione. La MMT poggia sull’ipotesi che lo Stato sia ritenuto il custode degli interessi comuni. Ma così si sopravvaluta lo Stato, come se non fosse influenzato anche da interessi di parte e a volte di breve periodo, e non si tiene conto del ruolo del mercato.

Liquidità monetaria e crescita, inoltre, non vanno necessariamente di pari passo. Senza dimenticare poi il problema del deficit da tenere sotto controllo. Se è vero che non tutti i deficit sono uguali e che se il deficit deriva dalla spesa per infrastrutture o istruzione può favorire un’accelerazione della crescita economica che ripaghi ampiamente gli esborsi, il deficit e il debito, tuttavia, possono provocare danni se derivano da spese improduttive. L’ultimo pezzo mancante, è che la MTT sembra pensata per un mondo in cui non ci si debba relazionare con l’estero, con i tassi di cambio e con le possibili svalutazioni della moneta. Un’ipotesi tutt’altro che reale.

Negli Usa, ha trovato tra i suoi sostenitori accademici come Bill Mitchell, Randall Wray e Stephanie Kelton, e gestori di fondi d’investimento come Warren Mosler. Ha influenzato, in certo qual modo le autorità monetarie quando si è trattato di uscire dalla crisi del 2008-2009 (quella originata dai mutui immobiliari) e di evitare, nel farlo, una recessione.

Un libro recente di Christoper Leonard– The Lords of Easy Money: how the Federal Reserve Broke the American Economy – uscito in febbraio e da marzo nella lista dei best sellers descrive puntualmente come la MTT, infiltratasi a Constitution Avenue – abbia inciso sulla politica monetaria americana, proprio negli anni in cui, a ragione della pandemia, Casa Bianca e Congresso largheggiavano in materia di sussidi e ristori, L’esito complessivo è la situazione di questi giorni: una manovra monetaria fortemente deflazionistica, anche in quanto il braccio fiscale è alle prese con le spese aggiuntive derivanti dagli aiuti all’Ucraina.


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