Dalla guerra dello Yom Kippur alle crisi in Ucraina: ecco come la Russia da principale fornitore di energia dell’Europa sarà relegato a uno degli ultimi. L’analisi di Domenico Vecchairino, ricercatore di geopolitica, intelligence e infrastrutture critiche
I rapporti energetici tra Europa e Russia sono quanto mai critici per via dell’invasione da parte di Mosca dell’Ucraina. In realtà fino allo scoppio delle ostilità, la Russia, ai tempi Unione Sovietica, è stato il principale partner energetico dell’Europa, sia di petrolio che di gas; quest’ultimo, in particolare, è stato fondamentale per il Vecchio Continente dopo lo shock energetico del 1973, scoppiato a seguito della Guerra dello Yom Kippur, che fece schizzare alle stelle il prezzo del petrolio mediorientale. Vediamo come.
LA DIPENDENZA EUROPEA DAL PETROLIO
Sebbene negli anni Cinquanta il carbone fosse ancora il combustibile più usato nel mondo, il petrolio cominciò a soppiantarlo presto. A differenza del carbone, il petrolio e i suoi prodotti derivati erano più pratici da usare e più puliti. Poi, quando cominciò a diffondersi l’elettricità sul finire degli anni ’60, il greggio diventò il combustibile ideale per alimentare le centrali termoelettriche. Inoltre, il petrolio era una materia abbondante e a buon mercato e le principali fonti di approvvigionamento erano controllate da nazioni occidentali. Successivamente, la crescita industriale, la diffusione dell’automobile e dell’elettricità contribuirono notevolmente a far aumentare la richiesta di petrolio in Europa, che fece diventare così il greggio la principale materia prima energetica.
I RAPPORTI ENERGETICI TRA ITALIA E RUSSIA
I rapporti energetici tra l’Unione Sovietica e l’Occidente furono inaugurati dall’Italia che agli inizi degli anni Cinquanta diede vita a una duratura relazione bilaterale con Mosca, in grado di resistere al peso della Cortina di ferro e alle pressioni degli alleati del blocco occidentale. Enrico Mattei, infatti, nel 1958 firmò il primo accordo per l’acquisto di petrolio dall’Urss: attraverso il metodo del barter trading, ovvero il baratto, il gruppo Eni importava greggio in cambio di gomma sintetica prodotta dallo stabilimento Anic di Ravenna (10mila tonnellate di gomma contro 80mila tonnellate di petrolio). Dopo questo contratto ne seguirono altri sempre più grandi in termini di volumi e anche altre nazioni europee iniziarono a seguire l’esempio italiano.
LA GUERRA DELLO YOM KIPPUR
Ma nel 1973 il mondo occidentale fu scosso da una grave crisi energetica che sconvolse le economie e mise fine al boom economico iniziato subito dopo la Seconda guerra mondiale. Questo crollo fu principalmente il risultato del coinvolgimento delle potenze occidentali nella Guerra del Kippur scoppiata tra Israele ed Egitto-Siria. Le ostilità iniziarono il 6 ottobre 1973, giorno dello Yom Kippur, ricorrenza religiosa ebraica, quando Egitto e Siria lanciarono un attacco congiunto rispettivamente sul Sinai e sul Golan. Nelle prime ore le forze egizio-siriane riuscirono a penetrare in profondità, forti anche dei nuovi armamenti forniti dall’Urss e dello sbandamento iniziale dell’esercito israeliano colto di sorpresa durante la festa religiosa, ma le unità corazzate israeliane riuscirono a passare alla controffensiva, respinsero i siriani e penetrarono in Egitto riattraversando a sorpresa il canale oltrepassato precedentemente dagli egiziani. La guerra terminò grazie all’intervento di Usa e Urss che riuscirono a evitare un’escalation del conflitto e imporre un cessate il fuoco.
SHOCK PETROLIFERO DEL 1973
Le conseguenze del conflitto furono però globali. Nel 1972 il petrolio rappresentava quasi i due terzi della materia prima impiegata per la produzione di energia e quando i paesi arabi associati all’Opec decisero nel novembre del 1973 di aumentare il prezzo del greggio ci fu uno shock nei mercati mondiali. Simultaneamente all’inizio delle ostilità, infatti, i paesi dell’Opec, in sostegno alla Siria ed all’Egitto, decisero un forte aumento del prezzo del petrolio in tutto il mondo e la diminuzione del 25% delle esportazioni, oltre a un embargo nei confronti dei paesi che sostenevano Israele. I Paesi occidentali accusarono fortemente il colpo, e in tutta Europa vennero stabilite misure d’emergenza per ridurre i consumi energetici.
LA RICERCA DI NUOVE FONTI ENERGETICHE
Ma in Europa occidentale la crisi energetica portò anche alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, che diede anche risultati positivi: la Norvegia trovò infatti sui fondali del mare del Nord nuovi giacimenti petroliferi. Ma si sviluppo un forte interesse verso nuove fonti di energia alternative al petrolio, come il gas naturale e l’energia atomica, per cercare di limitare l’uso del greggio e quindi anche la dipendenza energetica dai paesi produttori. Si diffuse infatti la consapevolezza della fragilità e della precarietà del sistema produttivo occidentale, le cui basi poggiavano sui rifornimenti di energia da parte di una tra le zone più instabili del pianeta.
LO SVILUPPO DEL GAS NATURALE IN UNIONE SOVIETICA
Già dagli anni Sessanta l’Unione Sovietica inviava gas ai suoi alleati del Patto di Varsavia attraverso una rete di gasdotti; grazie all’estensione di questi tubi oltre la Cortina di ferro nel 1968, l’Austria, con la firma dell’intesa “gas for technology”, ricevette piccole quantità di gas da Mosca. Successivamente, anche altri Paesi europei come la Germania Ovest, la Francia e l’Italia ricevettero piccoli quantitativi di gas. In particolare, l’Italia negoziò nel 1969 un accordo per il primo contratto per la fornitura di 6 miliardi
IL SECONDO SHOCK PETROLIFERO
A spingere sempre più l’Europa verso il gas fu poi il secondo shock petrolifero che si verificò nel mercato internazionale del prezzo del greggio a seguito della rivoluzione iraniana del 1979. Il caos nel Paese sconvolse tutto il settore petrolifero che ridusse la produzione e sospese le esportazioni verso i Paesi occidentali. Tutto questo provocò una rapida impennata dei prezzi del petrolio che arrivarono a circa 80 dollari al barile, generando non poche difficoltà di approvvigionamento energetico. L’impatto che ebbe la seconda crisi energetica fu traumatico per l’economia mondiale perché si rivelò fragile in quanto ancora terribilmente dipendente dalla politica dei prezzi in Medio Oriente. L’inflazione generata dai prezzi energetici, unita alla stagnazione economica registrata in molti paesi occidentali, generò poi il famoso fenomeno della stagflazione.
LE INTESE GASIFERE DEGLI ANNI OTTANTA
Dopo questo secondo shock energetico l’Europa intensificò la partnership energetica con l’Unione Sovietica. Vennero avviati grandi progetti di esportazione del gas russo che coinvolsero diversi paesi occidentali con la realizzazione d’importanti infrastrutture e di condotte di grande diametro per trasportare il gas in Europa. Nel giugno 1980, il cancelliere Helmut Schmidt andò a Mosca e tornò annunciando l’avvio dei lavori per il Trans Siberian Pipeline, un gasdotto lungo 4500 chilometri che avrebbe trasportato il gas dal giacimento di Urengoj nell’alta Siberia fino all’Ucraina e poi in Europa. L’accordo fu vantaggioso per tutti, per gli europei perché avevano bisogno di approvvigionarsi di energia sicura e poco cara, e per i sovietici perché cercavano un mercato per il loro gas e moneta pregiata per fare fronte alla crisi finanziaria del sistema sovietico.
LA REAZIONE AMERICANA
Mentre l’Europa e l’Unione Sovietica festeggiavano l’accordo, la CIA inviò alla Casa Bianca, dove si era da poco insediato Regan, un memorandum segreto sul progetto “Siberian pipeline”, nel quale venivano riportate tutte le criticità dell’accordo, specie come il progetto potesse accrescere la forza militare sovietica grazie alle tecnologie “dual use” fornite dall’occidente. Il memorandum evidenziava inoltre che senza il gasdotto, e la valuta forte in contropartita, l’Unione Sovietica sarebbe entrata in una crisi economica importante. Nei mesi successivi Reagan emise la direttiva segreta NSDD32 con la quale autorizzava misure diplomatiche, politiche e di qualsiasi altra natura per isolare l’Unione sovietica.
IL CYBER SABOTAGGIO DEL GASDOTTO
Per rompere l’afflusso di valuta forte che teneva in piedi l’economia russa gli USA approvarono l’idea della CIA finalizzata a sabotare l’economia dell’Unione Sovietica. Gli agenti di Langley, tramite i servigi dell’agente segreto del KGB Vladimir Vetrov, riuscirono a fornire all’Unione Sovietica un sistema di automazione del gasdotto con all’interno un virus informatico che, dopo una fase di corretto funzionamento del gasdotto, avrebbe dato il comando ad una serie di valvole, turbine e pompe di aumentare la pressione nelle tubazioni oltre i livelli consentiti per i giunti e per le saldature provocandone la rottura. Nel giugno del 1982 i satelliti americani in orbita nello spazio registrarono una potentissima esplosione in Siberia. La deflagrazione fu così forte che i primi rapporti del NORAD (Comando di difesa aerospaziale nordamericano) stimarono l’esplosione in 3 chilotoni. Fortunatamente non ci furono vittime perché la deflagrazione avvenne in un’area disabitata, ma l’economia sovietica ebbe qualche scossone.
DOPO LA GUERRA FREDDA
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la neonata Federazione Russa fu protagonista di un declino economico decennale culminato con la gravissima crisi finanziaria dell’agosto 1998, dalla quale successivamente Mosca uscì con una decisa manovra economica incentrata sul settore dell’oil&gas che nel corso degli anni ha ricevuto un flusso enorme di investimenti esteri. Questi investimenti hanno permesso alla Russia di diventare il principale esportatore mondiale di gas naturale e il secondo più grande produttore, basando de facto la sua economia sugli idrocarburi e legando maggiormente l’export di gas alla dipendenza europea.
L’ENERGIA COME ARMA DI RICATTO
Questa dipendenza energetica europea è diventata nel tempo una temibile arma nelle mani di Mosca. Ben consapevole che il Vecchio Continente è arrivato a dipendere per oltre il 40% dalle forniture russe, con alcuni Paesi come la Germania, l’Italia, Austria e Slovacchia che hanno avuto percentuali più alte, Mosca ha esercitato questa leva di pressione geopolitica in molte parti del mondo, ma specialmente nella lunga querelle dei rapporti con l’Ucraina.
LE GUERRE DEL GAS
Non per caso, infatti, le contrapposizioni tra Mosca e Kiev, avvenute prima dell’annessione unilaterale della Crimea, sono passate alla storia come le “Guerre del Gas”. Nel 2006, dopo la “rivoluzione arancione” che portò in carica dei governi filo-occidentali, Mosca utilizzò come pretesto alcune richieste di pagamento del debito accumulato dalla compagnia nazionale del gas ucraina (Naftogaz) per interrompere le forniture russe di gas verso l’Ucraina per tre giorni che provocarono forti preoccupazioni in tutta l’Europa. Un secondo contenzioso scoppiò nell’ottobre del 2007 sempre per alcuni debiti delle compagnie ucraine, e a marzo 2008 Gazprom tornò a ridurre le forniture di gas per mettere sotto pressione Kiev. La disputa continuò per tutto il 2008, finché a inizio 2009 un grosso taglio delle forniture russe di gas bloccò quasi completamente l’Ucraina, con pesanti ripercussioni anche sull’approvvigionamento europeo.
LE POLITICHE DI DIVERSIFICAZIONE DELL’EUROPA
La seconda crisi del gas ebbe due importanti conseguenze: da un lato spinse la Russia a preparare i primi progetti per aggirare le rotte ucraine come la costruzione del gasdotto Nord Stream 1; dall’altro portò l’Unione Europea ad accelerare i processi di diversificazione delle rotte energetiche, troppo dipendenti da Mosca. Dal 2009 a oggi l’Unione Europea ha costruito nuovi interconnector per il reverse flow del gas e per diversificare le fonti di approvvigionamento ha costruito nuovi gasdotti come il Tap e molti rigassificatori per acquistare gas liquefatto da Paesi produttori fisicamente lontani dalle sue reti.
LA GUERRA IN UCRAINA E I FUTURI RAPPORTI ENERGETICI
Con l’invasione dell’Ucraina per la terza volta in 12 anni si è posto il problema della dipendenza europea dagli idrocarburi russi. Difficilmente possiamo fare delle previsioni su come sarà l’esito del conflitto e chi vincerà questa guerra, ma sicuramente possiamo essere certi che le relazioni energetiche tra la Russia e l’Europa non saranno più le stesse. Al di là delle tempistiche, dell’eventuale embargo del petrolio e del gas, l’Europa nel prossimo futuro sarà completamente indipendente dalle importazioni di energia dalla Russia, troppo volubile ai giochi di potere legati all’energia. L’Ue ha già ridotto la quota di gas che importa dalla Russia – ad aprile era il 26% del totale, rispetto al 40% del 2021 – ma con il maxi-pacchetto RePowerEu la Commissione intende azzerare la dipendenza russa entro il 2027 accelerando il processo di decarbonizzazione e mettendo sul tavolo una strategia da 300 miliardi di euro. In più la Commissione ha aggiornato gli obiettivi di Fit for 55 per fare sì che nel 2030 le rinnovabili rappresentino il 45%, non più il 40%, del mix energetico europeo (oggi siamo sotto al 20%).