Il presidente del Consiglio ha aperto allo spacchettamento per sganciare Tirana dalla disputa tra Bulgaria e Macedonia del Nord. Lo storico: “Siamo abituati a vederlo come leader impegnato sui grandi dossier globali ma queste parole raccontano come abbia interiorizzato alcune direttrici di lungo periodo” tipiche di Roma
“Se per caso ci fossero altri ostacoli” nella via per l’ingresso della Macedonia del Nord nell’Unione europea, “noi vogliamo che l’Albania venga presa e vada avanti da sola, cioè senza essere più bloccata dalle differenze, dalle divisioni che ci sono sulla Macedonia del Nord”. Con queste parole pronunciate nel corso della conferenza stampa alla fine del recente Consiglio europeo, Mario Draghi ha aperto alla possibilità di spacchettare il dossier per permettere all’Albania di andare avanti con il processo di adesione all’Unione europea, senza attendere che si risolva la controversia tra la Macedonia del Nord e la Bulgaria per una disputa di natura storico-culturale.
“Uno degli effetti della riunione di ieri è stato che non ci saranno più ritardi” per quanto riguarda l’avanzamento dei sei Paesi balcanici (oltre ad Albania e Macedonia del Nord, anche Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro e Serbia), ha spiegato il presidente del Consiglio. “Da un lato significa che i governi di questi Paesi dovranno impegnarsi nelle riforme richieste, dall’altro lato significa che l’Unione e i suoi membri devono aiutarli”. Il veto bulgaro sta alimentando frustrazioni a Skopje come a Tirana. Dopo il complicato vertice Unione europea-Balcani occidentali di giovedì, il primo ministro albanese Edi Rama si è detto “dispiaciuto per l’Unione europea, incapace di liberare due ostaggi, che sono anche membri Nato, dalla Bulgaria”.
Sul tavolo c’è una proposta del presidente francese Emmanuel Macron, approvata dal parlamento di Sofia ma duramente criticata dal presidente bulgaro Rumen Radev, che si è scagliato contro il governo dimissionario e i deputati che l’hanno votata nei giorni scorsi. Contrario anche Dimitar Kovačevski, presidente del governo della Macedonia del Nord, che ha definito la soluzione proposta dall’Eliseo come “irricevibile”.
Davanti a questa situazione, il presidente Draghi ha voluto mandare un segnale nuovo per l’Italia, che negli anni scorsi aveva difeso il pacchetto Albania-Macedonia del Nord quando a bloccarlo in Consiglio europeo non era la Bulgaria ma l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi, che chiedevano riforme strutturali a Tirana. Un segnale che potrebbe rappresentare sia un tentativo di spingere per sbloccare lo stallo, sia un atto di realismo.
In ogni caso, con queste dichiarazioni, Draghi “mostra un’importante capacità di ricollegarsi ai fondamentali della politica estera italiana, anche regionale”, spiega Federico Niglia, professore di Storia delle relazioni internazionali all’Università per stranieri di Perugia, a Formiche.net. “Siamo abituati a vederlo come leader impegnato sui grandi dossier globali. Ma queste parole raccontano come abbia interiorizzato alcune direttrici di lungo periodo della politica estera italiana arrivando a riaffermare la vera priorità italiana dai primi anni Novanta in poi: l’Albania, anche come luogo nodale per l’Unione europea. È importante sottolineare poi che Draghi ha fatto riferimento all’allargamento, che rappresenta stoicamente il primo strumento della politica estera comunitaria”, aggiunge lo storico.
“I due Paesi hanno un rapporto profondo sin dalla nascita dall’Albania”, continua Niglia. “Nell’ultimo trentennio è stato coltivato da tutti i governi, a prescindere dal colore politico e l’Albania ha rappresentato per l’Italia, con la missione Alba, il primo momento dopo la Guerra fredda come Paese stabilizzatore della regione”. Oggi l’impegno italiano verso l’Albania riflette la ricerca della “meridionalizzazione dell’Unione europea, necessaria innanzitutto per motivi geografici e oggi possibile anche alla luce degli sviluppi dei Paesi della regione”, conclude.