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Come e perché la produttività dell’Italia è ferma allo 0%

Dal 2010 non si hanno segnali di crescita in uno degli indici economici di maggior rilievo. Il governo Draghi punta tutto sui fondi del Pnrr, ma per rilanciare il sistema potrebbero non bastare

Il dato dice 0%. E purtroppo per l’Italia riguarda uno degli indici economici di maggior rilievo: la produttività. Che è ferma lì da 22 anni. Senza il minimo cenno di vita. Il governo di Mario Draghi, per invertire la tendenza, punta tutto sui fondi del Pnrr. Ma le risorse in arrivo dall’Ue, secondo l’agenzia europea Scope Ratings, potrebbero non essere sufficienti a ridare il giusto slancio alla crescita potenziale del Paese.

Negli ultimi 20 anni la produttività del lavoro, in Italia, è peggiorata costantemente al di sotto della media dell’area euro durante i periodi di espansione e contrazione economica. Il che mette in dubbio il realismo degli obiettivi di crescita media assunti a lungo termine. La crescita della produttività è diminuita a cominciare dalla seconda metà degli anni ‘90, quando era vicina all’1%, per stagnare in media attorno allo 0% dal 2010.

“Il raggiungimento della crescita della produttività a lungo termine ipotizzata dal governo per il 2025-2050 di circa l’1,4% richiederebbe un aumento persistente della produttività tra 1,2 e 1,4 punti percentuali in media nei prossimi 30 anni per tutte le regioni: un livello che non si osserva dagli anni ‘90”, ha spiegato il vicecapo del rating sovrano di Scope, Alvise Lennkh-Yunus.

“Sebbene i fondi del Next generation Eu di 192 miliardi di euro stanziati nel periodo 2021-2026 potrebbero fornire un importante impulso, insieme ai fondi strutturali e di coesione europei di circa 43 miliardi, l’entità della sfida e l’impegno politico necessari per sostenere lo slancio delle riforme dopo le elezioni del 2023 sono preoccupanti”.

La produttività varia in modo significativo in tutto il Paese. I livelli nazionali e regionali del Pil pro capite occupato erano più elevati nel 1995 rispetto al 2019, con la produttività del lavoro al Nord che rimaneva la più alta e col divario col resto d’Italia più elevato in epoca odierna rispetto a 20 anni fa. Attenzione: questa disparità, che oggi è ancora in aumento, non è dovuta al fatto che il Nord abbia migliorato i suoi livelli di produttività, ma piuttosto al calo fatto registrare nel resto dello Stivale.

Una circostanza che riflette le debolezze strutturali legate ai divari infrastrutturali, all’inefficienza della pubblica amministrazione, alle rigidità del mercato del lavoro e ai bassi investimenti in capitale umano che, nonostante le riforme introdotte negli ultimi decenni, hanno sempre pesato maggiormente al Centro-Sud.

L’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza fornirà all’Italia 191,5 miliardi di euro per facilitare una ripresa più stabile, omogenea e duratura. Invertire una storia di scarsa produttività e superare le divergenze regionali, infatti, è fondamentale in vista delle sfide a lungo termine che attendono il Paese.

Secondo l’analista di Scope, Alessandra Poli, “il governo non può fare affidamento solo sul Pnrr per rilanciare la crescita economica e la produttività, soprattutto al Sud. Il continuo intervento dell’esecutivo centrale, lo sforzo di attuazione delle riforme e l’aumento del livello degli investimenti pubblici sono vitali, così come l’impiego di fondi strutturali e di coesione europei su un periodo pluriennale”. Iniziative lungimiranti e concrete per far sì che le parole non restino a zero insieme alla produttività.



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