Anomalia sì, un caso no. Solo in Italia una parte della politica, dei media, della cultura marcia a ritmo con la propaganda di Mosca in questo modo. Ecco perché abbiamo acceso un faro sulla disinformazione. L’intervento di Elio Vito, deputato di Forza Italia e componente del Copasir
L’Italia è sotto attacco. Anche se le nostre città non sono state rase al suolo, il nostro territorio non è stato occupato, i nostri confini sono sicuri (sì, anche quelli marittimi, a dispetto della triste propaganda leghista sugli sbarchi) e non siamo entrati in guerra (al contrario di quanto ha affermato un po’ superficialmente Berlusconi, riferendosi all’invio di armi all’Ucraina).
Ma si tratta egualmente di un attacco invasivo e pericoloso che punta direttamente, alla vigilia delle ormai prossime elezioni politiche, a minare la nostra democrazia liberale, il percorso democratico che ci porta a scegliere, attraverso il consenso, chi ci deve rappresentare e governare.
D’altra parte, Putin non ha mai fatto mistero che il suo vero obiettivo fossero le democrazie liberali occidentali e compromettere l’unità europea ed atlantica. Eppure di questo attacco, di queste minacce, condotte attraverso campagne di disinformazione, ingerenza, influenza, attività ibride e attacchi cibernetici, nonostante esista ormai un’ampia e dettagliata letteratura specialistica, pare che il nostro Paese, le classi dirigenti, politiche, gli operatori dei media non siano consapevoli.
O, se lo sono, ne sottovalutano la portata, preferendo seguire le strade degli affari, dei guadagni, dello share, della pubblicità e dei voti. Per fortuna, l’Italia è un grande Paese, dotato delle professionalità, delle strutture e degli anticorpi necessari per difendersi e con alla guida il governo Draghi che è pienamente consapevole della portata della minaccia e della necessità di restare saldamente ancorati alle nostre tradizionali alleanze.
Però fa male vedere che in Italia, e solo in Italia, un leader di un partito di governo come Matteo Salvini frequenti disinvoltamente l’ambasciata russa alla ricerca di improbabili piani “di pace” (che comunque non tocca a lui elaborare). Fa male vedere che in Italia, e solo in Italia, le nostre televisioni, pubbliche e private, si siano prestate alla campagna di disinformazione russa, ospitando direttamente ed indirettamente esponenti del regime russo, spesso sottoposti personalmente alle sanzioni europee (del resto, le stesse istituzioni europee ci hanno invitato a non alimentare la propaganda russa).
Su questo aspetto, particolarmente delicato, occorre essere chiari: non si tratta ovviamente di limitare la libertà di stampa o d’informazione o quella editoriale, capisaldi della nostra democrazia, ma al contrario di evitare che siano vittime di condizionamenti esterni.
Insomma, una cosa è ospitare doverosamente le diverse opinioni, una cosa è una informazione corretta, completa e pluralistica, un’altra cosa, tutta un’altra cosa, è consentire che si dicano, si rappresentino, vadano in onda vere e proprie falsità, dette con il solo scopo di influenzare malevolmente la nostra opinione pubblica.
Abbiamo così dovuto sentire negare in Tv il massacro di Bucha, abbiamo dovuto sentire parlare di genocidi di russi nel Donbas mai provati, abbiamo dovuto assistere alla falsa narrazione dell’espansione della Nato (dimenticando il fondamentale principio della libera adesione) come giustificazione dell’aggressione russa. E non si è parlato invece e non si parla ancora abbastanza dei crimini di guerra, delle violazioni del diritto internazionale, delle violenze indiscriminate, di obiettivi civili colpiti, degli stupri, dei rapimenti di minori, delle deportazioni, compiuti dai russi in questi cento giorni di guerra.
Ma ha fatto pure male che alla notizia dell’apertura di un’indagine conoscitiva sulla disinformazione ed ingerenza straniera da parte del nostro massimo organismo parlamentare che si occupa di sicurezza nazionale, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), vi siano state critiche proprio da parte del mondo dell’informazione.
Un mondo dell’informazione che dovrebbe essere il più interessato a vedere preservata la propria libertà da ogni forma di condizionamento e dovrebbe essere il più interessato alla massima trasparenza sui meccanismi che regolano la formazione del consenso attraverso le notizie.