Propaganda russa, interferenze, contatti all’ombra del Cremlino. Prima ancora dell’intelligence, è la politica a dover prendere l’iniziativa. C’è un’emergenza classe dirigente che va presa sul serio alle prossime elezioni. Il commento di Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence
Mai come in questa guerra si sta parlando di intelligence. Non è casuale, almeno per due ordini di motivi: la trasformazione culturale avvenuta dopo gli attentati terroristici in Europa del 2015 e la maggiore consapevolezza che i Servizi sono uno strumento essenziale per tutelare la sicurezza dei cittadini.
Peraltro, la guerra in Ucraina è la vicenda più significativa degli ultimi anni che investe la politica estera, che, come spiega Antonio Polito, “è l’essenza della politica, perché il suo oggetto è l’interesse nazionale”. E l’intelligence trova la sua ragion d’essere proprio nel perseguimento dell’interesse nazionale.
In tale contesto mi sembra si possa collocare il recente dibattito sull’iniziativa del leader della Lega Matteo Salvini di recarsi in Russia per favorire dialoghi di pace. Si è polemizzato se questa sia un’iniziativa di propaganda politica, in quanto non concordata con l’esecutivo, oppure orientata al perseguimento dell’interesse nazionale, a cui debbono fare riferimento tutte le componenti parlamentari.
Sebbene tutti i leader politici siano tenuti ad avere rapporti a livello internazionale, il Paese a livello ufficiale non puó che essere rappresentato se non dal governo. È questa la cornice che rende credibile uno Stato a livello internazionale nei confronti non solo degli alleati ma anche degli avversari.
Le fasi più delicate sono sempre rappresentate quando un paese è in guerra, e noi indirettamente in questo momento lo siamo. Tanto è vero che in periodo bellico, anche se non è certamente questo il caso specifico, viggono norme che in tempo di pace non si possono né invocare né applicare.
Le recenti dichiarazioni del ministero degli esteri russo sull’Italia potrebbero essere considerati come il tentativo di fare breccia nel nostro Paese? Potrebbe essere probabile che la nostra opinione pubblica venga ritenuta un anello debole dell’Occidente. Questo perché l’Italia sembra particolarmente esposta alla disinformazione, considerato il rapporto dell’Ipsos che descrive la percezione dei nostri concittadini molto distante dalla realtà, oltre ai noti dati sull’analfabetismo funzionale.
Inoltre, il Financial Times ha commentato che l’Italia solo recentemente, grazie alle chiare posizioni del premier Mario Draghi, si è chiaramente allontanata dalla Russia, posizione che certo non era la regola nella politica italiana. Da quì possiamo facilmente intuire l’importanza di una adeguata cultura dell’intelligence nella classe politica, che la renda più resistente alle influenze esterne, da qualunque parte provengano.
Emerge, quindi, l’importanza del senso delle istituzioni e della responsabilità politica delle élite pubbliche. Al di là del caso in questione, a mio modo di vedere si pongono due problemi. Il primo è rappresentato dalle modalità di selezione delle élite pubbliche e il secondo dal discrimine tra politica e intelligence. Per comodità di analisi, facciamo ricorso alla cronaca.
Per quanto riguarda il primo caso, ieri su La Stampa Roberto Saviano ha posto il tema del merito applicato in modo diverso dallo Stato e dalle organizzazioni criminali. Ho affrontato questo tema in relazione proprio alla differente selezione delle élite in un saggio pubblicato nel 2017 su Gnosis, la rivista dei nostri Servizi. In quella sede, ho evidenziato l’asimmetria della individuazione delle classi dirigenti che avviene da un lato – cioè per lo Stato – attraverso elezioni e concorsi e dall’altro, vale per le mafie come per le multinazionali, tenendo in maggiore considerazione i loro discutibili criteri di merito.
Occorre allora interrogarsi se la strada che stiamo percorrendo, dal 1993 fino ad arrivare alle liste bloccate, sia il metodo migliore per selezionare il ceto politico nazionale. Non penso sia un tema che appassioni i partiti, in quanto, pur dovendo votare tra un anno, la legge elettorale non è oggetto di discussione. Probabilmente si ritiene già sufficiente la ridefinizione dei collegi della Camera e del Senato, lasciando inalterato il sistema delle liste bloccate, che non trova riscontro né nelle elezioni comunali, né in quelle regionali e né in quelle europee.
Il secondo aspetto è costituito dal discrimine tra politica e intelligence ed è strettamente collegato al primo. Infatti, l’Individuazione delle classi dirigenti politiche è fondamentale, poiché sono queste che a livello governativo indirizzano e utilizzano il lavoro dell’intelligence. A tale proposito, sempre facendo riferimento alla cronaca, vanno evidenziate le attività del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, presieduto con impegno da Adolfo Urso, che intende acquisire informazioni sulla missione di Salvini e sull’eventuale ruolo di Antonio Capuano.
Il Comitato Parlamentare ha come compito quello di controllare se l’attività dei Servizi risponda alle leggi della Repubblica. Ha poi funzioni consultive e può audire personalità pubbliche e private, richiedere l’apertura di inchieste interne, acquisire documenti anche dall’autorità giudiziaria, esprimere pareri sulle regole che riguardano l’intelligence e deposita annualmente al Parlamento un resoconto della propria attività.
In definitiva, come sempre, la vicenda di Salvini è davanti agli occhi di tutti. Viene però diversamente interpretata, aumentando la confusione e l’incertezza nei cittadini. È questa, secondo me, la vera disinformazione: quella che è alimentata dal dibattito pubblico condotto dai rappresentanti delle istituzioni, peraltro selezionati in modo approssimativo. Un dibattito che viene quindi proposto dai principali media, condizionando la maggioranza degli elettori, che spesso non hanno strumenti critici e culturali adeguati.