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Putin riscrive la storia. Appunti da San Pietroburgo

Di Nicolò Sorio

Putin l’oratore, Putin lo scriba. Da San Pietroburgo il presidente russo ha riscritto il corso della storia di una nazione e lanciato una sfida all’Occidente che va ben oltre la guerra in Ucraina. Il commento di Niccolò Sorio (Geopolitica.info)

L’aspettativa era alta, alimentata anche dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che aveva presentato il discorso del Presidente russo come “estremamente importante”. Nonostante il ritardo di circa un’ora, dovuto ad un attacco hacker, Vladimir Putin non ha tradito le attese: “L’epoca del mondo unipolare è terminata, questo è ineludibile, nonostante tutti i tentativi di conservarla. Si tratta di un cambiamento naturale della storia che andrà contro gli stereotipi imposti da un solo centro decisionale, con una sola potenza che controlla gli Stati a lei vicini e fa tutto nel suo esclusivo interesse. Dopo aver vinto la Guerra fredda, gli Stati Uniti si sentono i messaggeri di Dio. I suoi governanti sono persone che non hanno alcuna responsabilità, ma coltivano solo i propri interessi, creando una corsia a senso unico che rende il mondo instabile”.

Il discorso, e in particolare questo estratto, suggella quello che è stato il cambio di rotta operato dalla Federazione russa nell’ultimo decennio e permette di intraprendere una riflessione di più ampio respiro sulla postura di Mosca rispetto all’ambiente internazionale. Gli ultimi anni possono essere letti attraverso il passaggio fondamentale della Federazione russa da potenza insoddisfatta a potenza revisionista. Tutte le matrici di insoddisfazione che la Russia aveva maturato nel post Guerra Fredda (e non solo) vengono messe al servizio di un progetto esplicitamente rivolto a sovvertire l’ordine internazionale liberale, l’ordine internazionale a guida statunitense (o quantomeno a farlo virare verso una struttura più compatibile con gli interessi e le aspettative della Russia).

Il conflitto ucraino si inquadra perfettamente in questo senso e può essere letto, attraverso la lente interpretativa di Mosca, come una possibile soluzione ai due problemi/obiettivi fondamentali del revisionismo russo. Il primo è un obiettivo distributivo: la Russia rivendica una zona, lo spazio post-sovietico, di influenza privilegiata se non esclusiva, considerata tradizionalmente propria a livello di “civilizzazione”. Il secondo è un problema reputazionale: il riconoscimento dello status di grande potenza. La Russia, in questo senso, ambisce a tornare al centro del sistema securitario europeo e non solo.

Durante il suo discorso Putin si è detto pronto a far fronte a qualsiasi sfida: «Siamo persone forti e possiamo affrontare qualsiasi sfida. Come i nostri antenati, risolveremo qualsiasi problema, l’intera storia millenaria del nostro paese parla di questo», ricollegandosi ad un’altra direttrice fondamentale costituente la politica estera russa: l’auto-percezione russa. L’ultimo decennio è stato caratterizzato dalla costruzione di una precisa narrazione inerente alla civiltà russa (rossiiskaya), una concezione pra-etnica della comunità russa e russofona, fondata sulle sue specificità e sul suo ruolo nell’era internazionale. Gli elementi chiave di questa narrazione attengono alla convinzione che la Russia goda di un diritto naturale, sancito dalla stessa geografia, di dettare le regole del gioco politico internazionale e alla formazione di un patriottismo organicista, antitetico rispetto a quello etnicista di stampo occidentale.

Il Forum di San Pietroburgo è prima di tutto un forum economico e largo spazio nel discorso di venerdì è stato dedicato al tema delle sanzioni occidentali. Su tale argomento Putin ha ribadito l’inutilità dello strumento sanzionatorio europeo e l’inevitabile effetto boomerang che avrà sull’economia occidentale: «Volevano spezzare le nostre catene produttive. Non ci sono riusciti. Tutto quello che si dice sullo stato della nostra economia è solo propaganda. Si stanno auto-punendo, perché la loro crisi economica, che non è stata certo causata dalla nostra Operazione militare speciale, farà nascere all’interno dei loro Paesi elementi radicali e di degrado che nel prossimo futuro porteranno a un cambio delle élite. L’Unione europea sta danneggiando la sua stessa popolazione, ignorando i propri interessi. Le nostre azioni nel Donbass non c’entrano niente, l’inflazione e il calo delle materie prime sono il risultato dei loro errori di sistema. Ma loro usano il Donbass come una scusa che gli permette di attribuire a noi tutti gli errori fatti in questi anni».

Rilevanti nel corso dell’intervento sono state le considerazioni riguardanti i rapporti tra Mosca e l’Europa: «l’Unione Europea ha completamente perso la sua sovranità politica». L’accusa è quella di essersi prostrati all’egida statunitense, tralasciando i propri interessi nazionali. Questo passo deve essere interpretato tenendo in considerazione la particolare percezione che la Federazione russa ha del Vecchio continente. La raffigurazione collettiva russa dell’Europa è bicefala. Da una parte, viene percepita come un modello a cui guardare per il progresso: all’Europa viene riconosciuto un ruolo storico nella costruzione dell’identità russa (Mosca come terza Roma) e nello sviluppo economico industriale. Dall’altra, è vista come un ricettacolo di vizio, emblema della decadenza occidentale, alla quale va necessariamente contrapposta l’ortodossia russa.

Al termine dell’intervento, durato circa un’ora, è stato riservato uno spazio per alcune domande dalla platea. In particolare, colpisce l’interrogativo attinente al presunto stato di salute del Presidente della Federazione russa, al quale, lo stesso Putin, risponde parafrasando la nota frase di Mark Twain: “Le voci sulla mia morte erano molto esagerate”.

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