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La rete unica e l’equilibrio tra mercato, regolatori e consumatori

La necessità strategica di aumentare investimenti, accesso e fruizione delle nuove reti, con ciò che implica anche per la transizione ecologica, fa i conti con livelli diversi e altissimi di impegno, costi e investimenti, e per questo ha bisogno tanto di capitale paziente, quanto di rispettare e remunerare gli azionisti, senza togliere fiato al business dei nuovi operatori e senza scoraggiare la domanda. L’opinione di Massimo Micucci, Fondazione Ottimisti e Razionali

Il progetto in campo, previsto dall’accordo tra Tim e Open Fiber, è il passaggio volontario, concertato, e di mercato ad una rete unica.

Ha molti sostenitori e corrisponde a interessi economici e strategici, compreso quello (che vale però per tutto il digitale) della sicurezza. Ma su tutte è prevalsa la constatazione che senza un operatore unico, con le dovute cautele, non integrato verticalmente ad uno degli attori, si rischia la sostenibilità dell’intero settore, proprio mentre si moltiplicano gli sforzi per far arrivare a famiglie ed imprese connessione e digitalizzazione attraverso reti ad altissima velocità.

Il tempo e l’onere degli investimenti, le differenze di ritorno sono decisive, e c’è chi teme, comprensibilmente, che a pagare per garantire cash flow siano solo i consumatori, perché presume che i regolatori siano in fondo flessibili alla politica. Non è giusto darlo per scontato.

La necessità strategica di aumentare investimenti, accesso e fruizione delle nuove reti, con ciò che implica anche per la transizione ecologica, fa i conti con livelli diversi e altissimi di impegno, costi e investimenti passati e futuri (compreso il decommissioning delle vecchie reti), e per questo ha avuto, e ha bisogno tanto di capitale paziente (come Cdp), quanto di rispettare e remunerare gli azionisti, ma senza togliere fiato al business dei nuovi operatori e senza scoraggiare la domanda, della cui vitalità abbiamo avuto prova in pandemia.

A causa del mutamento in atto da tempo nel settore, Tim, assieme a Open Fiber, ha dovuto   scegliere una via per continuare a produrre valore, a competere, e a lasciar competere; in un mondo, per ora, dominato da contenuti, da chi li aggrega e vende (OTT).

Perché la via sia virtuosa per tutti, in tempi di mutamenti tecnologici costanti, non è mai bastata la regolamentazione, e neppure il ricorso al richiamo degli interessi nazionali.

Certo sia la politica (anche europea) che la regolazione, hanno già richiamato l’utilità di una possibile scelta del genere, ma deve trovare un nuovo equilibrio e non potrà essere solo nazionale per rendere la svolta sostenibile per tutti.

La concorrenza di servizi e offerte ha tenuto basso il prezzo e accessibile la rete (nonostante la storia degli incumbent) garantendo vantaggi per i consumatori, crescita e, in parte, nuovi investimenti su infrastrutture e aziende, sostenuti e rassicurati da coraggiose politiche di sviluppo da parte dell’Unione Europea e di alcuni governi nazionali.

Una via buona per l’azienda e per gli azionisti non è necessariamente un “danno” per i clienti o per la concorrenza; la separazione delle attività dalla proprietà della rete pone certamente problemi, ma non è per forza un “macello sociale”.

In tutto il settore, dipendenti e direzione sono da tempo impegnati in progetti e sforzi di upskilling, reskilling, solidarietà e mobilità per prefigurare nuovo lavoro, nuovi servizi e funzioni. Le competenze non si buttano, ma possono cambiare. Sono parole e percorsi che non significano certo la stessa cosa, anzi sono capitoli difficili da ideare e scrivere, ma senza questi non c’è un “destino garantito” per nessuno.

Imprese e investitori, ma soprattutto regolatori e decisori politici dovranno lavorare da subito (e si tratta di un lavoro complesso e sofisticato, nazionale ed europeo) perché, una volta accettata, la nuova sfida tecnologica “funzioni” senza pregiudizi, senza rinunciare al valore e al merito incorporato in anni di investimenti, di competenze accumulate, né tantomeno la concorrenza, e senza scaricabarile sui consumatori, che sarebbe un autogol.

Concorrenti e concorrenza, in quasi tutti i Paesi, hanno così potuto, a velocità variabili, prosperare, senza sacrifici preventivi dei consumatori, anzi massimizzando finora i vantaggi di tutti. Semmai, ma questo è ancora più complesso, si dovrà analizzare l’ecosistema di costi della connettività e valutare come contribuiscono alcuni dei protagonisti (in particolare gli OTT) e quali tra questi possono fare di più per la sostenibilità del mercato.


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