Dall’inizio del conflitto in Ucraina e, in particolare, dopo l’ultima puntata di Non è l’Arena andata in onda domenica 5 giugno e condotta direttamente dalla Russia, gli italiani si sono divisi in “gilettiani” e “anti-gilettiani”, con quest’ultima fazione più facinorosa e numerosa. L’analisi di Domenico Giordano (Arcadia)
L’Italia non è più quel Paese in cui i Guelfi e Ghibellini se le davano di santa ragione pur di difendere le prerogative del Papato o dell’impero, dove, facendo un salto in avanti, la contrapposizione tra democristiani e comunisti ha segnato e marchiato la vita di due generazioni di italiani prima di sciogliersi come neve al sole dopo 10 novembre del 1989.
Però, l’Italia continua a essere un Paese a cui piace dividersi a metà, da una parte quelli che facevano il tifo per Coppi e dall’altra con la medesima passione i fan di Bartali. Nell’italiano medio convive un pensiero geneticamente un pensiero binario che prima si legittimava vicendevolmente nelle piazze, sui tornanti alpini, nelle urne o negli stadi e che oggi invece popola innanzi tutto la Rete.
Ecco che dall’inizio del conflitto in Ucraina e, in particolare, dopo l’ultima puntata di Non è l’Arena andata domenica 5 giugno condotta direttamente dalla Russia, gli italiani si sono divisi in “gilettiani” e “anti-gilettiani”, con quest’ultima fazione più facinorosa e numerosa.
Nella settimana dal 29 maggio al 3 giugno, quindi prima della contestatissima puntata moscovita, le menzioni online sulla keyword “Giletti” erano di poco superiore a 1.200, mentre nei quattro giorni successivi, dal 4 al 7 giugno le menzioni sono schizzate a circa 10.000, per la precisione a 9.840.
Il traffico del parlato si è inevitabilmente catapultato su Facebook, che potremmo paragonare simbolicamente all’autostrada del Sole per la quantità di traffico digitale raccolto rispetto alle altre direttrici digitali, con ingorgo che si è preso l’80% dell’intero dibattito. A completare il dominio assoluto dei social network quali terreni che hanno monopolizzato il dibattito pro e contro Massimo Giletti durante e nelle ore successive alla trasmissione, si aggiunge Twitter che invece si porta a casa un ulteriore 10%.
La scansione temporale tra il prima e il dopo la discussa puntata domenicale fa oscillare anche l’ago del sentiment, che misura la qualità e non solo la quantità dell’atteggiamento con cui gli utenti si sono relazionati con il contenuto dell’analisi.
L’indice di gradimento online con il quale Massimo Giletti si presenta nel fine settimana, da venerdì 3 a sabato 4 giugno –per depurarlo dal riverbero della trasmissione di domenica 29 maggio – fa segnare un mood positivo di poco oltre il 26% che poi precipita al 18,94% dal 5 al 6 giugno, quindi dopo la messa in onda, e con quello negativo che sfonda il muro del 70%.
A trascinare il popolo della Rete nel vortice dei commenti e delle reactions a polarità negativa sono soprattutto i canali social dei media nazionali – Corriere della Sera in testa con il suo profilo YouTube – e quelli dei giornalisti influencer – tra questi Andrea Scanzi, Lorenzo Tosa, Enrico Mentana. Mentre, tra le nostre celebrity leader e in larga parte anche nelle seconde file quasi nessuno dei politici italiani ha commentato la puntata di Non è l’Arena.
A rompere il diaframma del silenzio social si registra solo un tweet di Elio Vito e un post pubblicato su Instagram da +Europa, poi per il resto gli altoparlanti social della politica italiana sono rimasti totalmente muti.