Mentre gli occhi del mondo sono puntati sul Baltico, nel Mediterraneo cova una crisi climatica e alimentare senza precedenti. L’acqua è la chiave di volta per capire la tempesta in arrivo. E l’Italia è nell’occhio del ciclone. L’analisi di Dario Quintavalle
Seguo sempre la Parata del 2 giugno sui Fori Imperiali: sia per orgoglio patriottico, sia per la nostalgia di quando vi sfilai io, ventinove anni fa, giovane, bello (difficile da credere, lo so), e impeccabile nella mia divisa bianca di Ufficiale di Marina.
Quest’anno ho avuto l’impressione che, a differenza che nel passato, la sua natura militare non sia stata dissimulata, ma esibita platealmente. Nessun accenno alle “forze di pace”, come quando le nostre truppe combattevano in teatri di guerra, ma sotto il pudico velo del “peacekeeping”.
Siamo in guerra, è un fatto. Dopo due anni di retorica militaresca a proposito della lotta alla pandemia, con metafore come ‘prima linea’ per parlare di ospedali, abbiamo in Europa una guerra vera, con i soldati, non con gli infermieri. Si combatte solo in Ucraina (per ora, speriamo), ma noi ci siamo dentro fino al collo. Ci stiamo legittimamente, a norma della Costituzione, per cui “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”: la ripudia per sé e per tutti, sennò sarebbe troppo facile.
Ma ci troviamo in una posizione scomoda, in quanto – benché lontanissimi dalle zone di combattimento – siamo su un’altra prima linea: quella del cambiamento climatico, quella del divario nord-sud, ricchi-poveri. Con un vicino come il continente africano, temibile anche solo per l’esplosione demografica, e con il più vasto deserto del globo che inizia a soli 2000 km da Roma – e che si espande sempre più, anche verso di noi.
I sistemi di alleanze cui aderiamo (Nato e Ue) hanno invece spostato il loro baricentro e la loro attenzione a Nord, sul Baltico, che è ormai il Mediterraneo dei ricchi, mentre noi ci bagniamo in quello dei poveri.
In verità la guerra si combatte in prossimità del Mar Nero, che sarebbe una propaggine del Mar Nostrum (o viceversa? quasi tutti i maggiori fiumi europei sfociano nell’Eusino, a dir la verità). Ma il Mar Nero è ora mare clausum, in virtù della geografia e della Convenzione di Montreux, che il callido Erdogan interpreta a suo piacere, per farci capire che egli è, pur se non ci garba, imprescindibile. Indifferente persino al fascino dell’incantevole Sanna Marin. Quindi, su quel lato, per ora, non tocchiamo palla: siamo isolati.
Le brutte notizie non sono finite qui: non piove da parecchio tempo, in Italia. Nel 2022 manca all’appello la metà delle precipitazioni tipiche. L’estate è anticipata: che bello, possiamo andare in spiaggia! Sì: peccato che – mentre discutiamo di petrolio e gas russo – il 16% della produzione energetica nazionale venga dal settore idroelettrico, e i bacini siano in secca. Peccato che nel momento in cui il prezzo del grano è ai massimi storici, da 20€/quintale schizzato a 60€, i nostri agricoltori debbano anticipare il raccolto per non vederselo bruciato, con un calo di produzione che può arrivare al 30%. Peccato che il caldo estivo quest’anno ammazzerà più anziani del Covid: con o senza condizionatori, prof. Draghi.
Per questo, mentre ammiravo le nostre truppe sfilare, osservavo con particolare interesse i mezzi dei Vigili del Fuoco. Le Frecce Tricolore mi riempiono di orgoglio patriottico, ma avrei visto bene anche dei Canadair, sui cieli di Roma: quest’estate ci serviranno parecchio.
Uniamo i puntini: quella in Ucraina sembra una guerra tradizionale, combattuta con armi e tecniche vecchiotte, ma non lo è affatto. È l’annuncio di una “Terza Guerra Mondiale a pezzi” come profeticamente l’ha definita Papa Francesco. Che si combatte da una parte, ma produce effetti da tutt’altra. Dove l’obiettivo finale non è la “Vittoria” (che nessuno saprebbe definire), ma la “Rilevanza”. “Creo problemi, dunque dovete fare i conti con me”. Questo è il ragionamento della Russia, oggi: lo aveva chiesto con le buone, ora lo ottiene con le cattive.
Gli assedi per fame e sete ci sono sempre stati: ma prima erano gli assediati a soffrire la fame, e a cedere, come Vercingetorige ad Alesia. Qui la novità è che gli ucraini hanno cibo a sufficienza, ma ad essere affamato sarà il resto del mondo. E, come segnalavo in altro articolo, se il riscaldamento globale è una minaccia per noi abitanti di climi temperati, è una opportunità per la Russia. La quale controlla 170° (su 360°) di longitudine del Circolo Polare Artico e 23000 km delle coste sul Mar Glaciale Artico, che si sta squagliando. Quindi pazienza se il resto del Consiglio Artico sarà in mano a paesi NATO: un po’ più di caldo ai Russi non dispiace.
Spostiamo ora il nostro obiettivo sugli Stati Uniti, nella cittadina di Uvalde. Qui si è ripetuto un copione già visto tante volte: l’adolescente sociopatico che invece di schiacciarsi i brufoli, preme il grilletto di uno dei tanti fucili in circolazione e fa strage di una scolaresca. Contro-intuitivamente, la Nra ha celebrato la sua convention il giorno dopo, senza il minimo imbarazzo. In un paese dove già ci sono due armi per cittadino, la risposta è stata “ancora più armi”. Questo sembra un problema di politica interna Usa, però illustra anche una caratteristica mentalità degli statunitensi.
L’America è un’Isola-Mondo, protetta da due Oceani, con solo due confini terrestri. È piena di ogni dono di Dio: acqua, sconfinati terreni fertili, metalli preziosi, fonti di energia. La vastità del territorio, una eccezionale biodiversità e varietà climatica permettono ad un americano di vivere al caldo o sotto la neve, nel deserto o al mare o in montagna, senza spostarsi dal suo paese.
Soprattutto gli Usa hanno la capacità di attrarre e trattenere i migliori cervelli, per libera adesione e capacità di inclusione: una cosa che gli imperi fondati sulla sottomissione come Russia o Cina – che, pur con tutta la loro antica civiltà, hanno il soft power di un muro di cemento grigio – non riusciranno mai a emulare. Insomma, gli americani non conoscono altra minaccia se non quella delle armi: per il resto sono perfettamente al sicuro. Quindi tendono a vedere la sicurezza solo nella sua declinazione più elementare, quella militare. Per quanto raffinati e informati siano i decision-makersstatunitensi, questa è la loro weltanschauung, ed è impossibile che non ne siano influenzati.
Non è antiamericanismo dirlo (su Formiche, poi!): i fatti stanno solidamente a dimostrare che gli Usa sono ancora il coach indispensabile di un’Europa che vorrebbe essere squadra, ma dove alla prima occasione utile ogni giocatore, se può, gioca la sua partita secondo le sue convenienze. La bandiera Ue è blu con dodici stelle d’oro, ma il suo animale araldico sono i Polli di Renzo.
Però gli stessi fatti dimostrano che oggi ci sono molte altre e differenti declinazioni della sicurezza (idrica, energetica, alimentare, climatica, informatica, etc.) che richiedono attenzione; e che – si rassegnino i pacifisti – se le armi sono una risposta ancora necessaria a una invasione come quella in corso, nondimeno sono una risposta insufficiente. Le sanzioni, persino controproducenti.
Occorre un cambio di cultura ed atteggiamento. Abraham Maslow diceva: “se il tuo unico strumento è un martello, vedrai ogni problema come un chiodo”. Le nostre istituzioni di sicurezza, cioè la Nato, e gli Usa che ne hanno la leadership, sono attrezzate concettualmente solo per la guerra classica, con le armi: ma qui, come abbiamo dimostrato, siamo in una guerra nuova in un mondo nuovo. Affamato, e soprattutto, accaldato e assetato. Idropolitica, tenete d’occhio questa parola, diverrà presto di moda. E nel frattempo danzate affinché Manitù faccia scendere la pioggia.