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Utopia (e un po’ anche di fiabe) per cucire politica e immaginazione

Di Silvia Andreoli

Realtà e immaginazione hanno un legame inestricabile che si fa potentissimo, se lo si traduce in un programma di idee che guardi al futuro con determinazione e slancio. Questo libro parla di filosofia e naturalmente di politica.  “Qualcosa che sfiora l’utopia. Pensare un futuro più giusto” di Michele Gerace letto da Silvia Andreoli

A volte i libri arrivano e spalancano le porte, persino le scardinano. E sono le porte che fermano lo scambio tra luoghi e culture, tra idee e pregiudizi, ma anche quelle che bloccano la forza taumaturgica e immensamente concreta dell’immaginazione.

Leggendo Qualcosa che sfiora l’utopia. Pensare un futuro più giusto di Michele Gerace (Jouvence editore) si spalanca il nuovo, di fronte, perché nuovo è il modo in cui ci invita a guardare.

È un saggio nel vero senso della parola, una sorta quasi di bussola, e orienta il percorso, che, per la sua natura e approfondimento, per l’energia con cui scava e si interroga, diventa un viaggio iniziatico in cui ciascuno può e viene chiamato a fare la sua parte.

Tra le pagine del testo, Michele analizza e affronta il passato, non con un taglio di cronista o di “detrattore”, invece con la “fame” che anima l’attenzione acuta verso ciò che è più autenticamente umano.

“Misurare il mondo con i propri passi, sorprendersi e riprendere il cammino, è esserne parte. Comprenderlo iniziando col fermarsi a guardarlo”, scrive, riportando a quel punto di inizio cruciale per ogni vera conoscenza, che sia capace di scendere alla radice dei temi, dei tempi e dei problemi, così da figurarne le soluzioni. Soluzioni che non siano già correttivi di comodo, ma tasselli seminati lungo la strada per creare una nuova visione di ciò verso cui andare.

“Politica è vitalità di persone e comunità che per convivere si organizzano secondo regole che, anzitutto, ne consentano la sopravvivenza, l’espansione e lo sviluppo”.

Vitalità, dunque, e sviluppo. Ma la strada impone anche di affrontare le zone d’ombre, la parte complessa. Perché è nella complessità che ritroviamo la “cifra” umana più autentica.

“Il contrario di complessità non è semplicità. È superficialità e riduzionismo. Il contrario di pensare non è pensar male. È non pensare”.

Si tratta di uno snodo cruciale, che fa da viatico alla conseguenza immediata che se ne deduce.

La rinuncia alla complessità non è semplificazione. È una perdita di umanità.

È una vera e propria amputazione.

Solo l’utopia “risolve” questo.

Occupandomi da anni del mondo della fiaba, resto stupita e incantata dalle affinità che trovo tra quest’idea di utopia proposta da Michele e l’universo della narrazione fantastica. E questo perché, come diceva bene Italo Calvino, “le fiabe sono vere”, in quanto riassumono in sé le difficoltà, la voglia di mutamento, lo sforzo di riscatto e la passione anche, i sogni, quella metamorfosi che attraversa le nostre vite.

“La fiaba rappresenta un’utile iniziazione all’umanità”, ha scritto Gianni Rodari, nella Grammatica della fantasia. E Antonio Gramsci, in carcere, traduceva le fiabe dei fratelli Grimm, definendole “terapia della paura”.

Insomma, come ci mostra capitolo per capitolo Qualcosa che sfiora l’utopia, realtà e immaginazione hanno un legame inestricabile che si fa potentissimo, se lo si traduce in un programma di idee che guardi al futuro con determinazione e slancio.

In questo, fiaba e utopia sono gemelle.

Grazie alla partecipazione e alla compartecipazione, fanno diminuire, ridimensionano, scalfiscono la paura, cucendo quella stoffa di futuro, che è la meta verso cui vogliamo andare.

Un futuro “bello”, nato da un’immaginazione “bella” e da una bella utopia.

Scrive Michele Gerace: “Eppure non ci sarebbe niente di male nel rappresentarci una bella utopia. Il fatto è che le utopie costano più fatica delle distopia che per loro stessa natura sono raccontate per essere scansate e negate”, si legge nel libro. E di questa bella utopia abbiamo bisogno e voglia, per ritrovare l’incanto degli esseri umani.

Per restare legati a quell’“iniziazione all’umanità” senza cui viviamo amputati e isolati.

Parla di filosofia, questo libro, dunque, e naturalmente di politica, ma anche di poesia e mentre lo fa, Michele Gerace ha la testa nelle letture antiche più belle ma i piedi e lo sguardo ben innestati nella realtà.

Allo stesso modo degli alberi, di cui ci dice Simone Weil, citata alla fine del libro, un po’ aruspice, speriamo, di questo percorso  verso il futuro più giusto:

“Solo la luce che scende incessantemente dal cielo fornisce a un albero l’energia che gli permette di spingere in profondità nel terreno le possenti radici. L’albero in verità è radicato in cielo”.

E spesso anche l’immaginazione degli uomini.

Quella di Michele Gerace di sicuro.

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