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Se il petrolio del Kazakistan diventa la prossima arma di Putin

Novorossyisk

Una sentenza russa annulla il blocco di un terminal di esportazione che avrebbe strozzato il mercato petrolifero europeo. Il copione è noto, si tratta di un avvertimento del Cremlino diretto all’Europa e al vicino Kazakistan. Anatomia di una minaccia

L’offensiva energetica di Vladimir Putin si sta gonfiando. Mentre diminuiscono i flussi di gas verso l’Europa, il Cremlino sta saggiando nuove leve per stringere la morsa russa sul mercato petrolifero mondiale – e lanciare un avvertimento a chi rema contro i suoi interessi. È quanto emerge dalla disamina dell’analista strategico Julian Lee, il quale, interpretando la saga di un terminal di esportazione russo sulle pagine di Bloomberg, avverte che la Russia vuole utilizzare il petrolio del Kazakistan come arma.

Settimana scorsa, nella città russa di Novorossiysk affacciata sul Mar Nero, un giudice ha ordinato a una società di esportazione del petrolio, la Caspian Pipeline Consortium, di sosopendere le operazioni per trenta giorni. Il motivo ufficiale sono le “violazioni documentarie” del piano della compagnia per reagire alle fuoriuscite di petrolio. Lunedì il tribunale regionale di Krasnodar ha accolto l’appello di Cpc (che trasporta il greggio dal Kazakistan alla cittadina russa via oleodotto) e annullato la sanzione.

La vicenda è nata da un’investigazione lanciata dalla vicepremier russa con delega alle risorse naturali, Viktoria Abramchenko, ed è solo l’ultima puntata di una serie di eventi che hanno ostacolato le operazioni della Cpc dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. A marzo il terminal russo si è fermato per una tempesta, a giugno per la scoperta di mine risalenti alla Seconda guerra mondiale nell’area circostante (di cui nessuno si sarebbe accorto durante la costruzione). Ma del resto non sarebbe la prima volta che il regime russo sfrutta il sistema legale come paravento per influenzare i mercati.

Va rimarcato che il 90% del greggio che transita dal terminal di Novorossiysk proviene dal Kazakistan. “Questo lo rende un’arma ideale nell’arsenale del presidente Vladimir Putin per infliggere dolore economico ai suoi aguzzini”, scrive Lee: il congelamento del terminal avrebbe sottratto al mercato petrolifero globale ben 1,5 milioni di barili al giorno, intaccando appena le esportazioni di petrolio russo. Con buona pace dei produttori kazaki e delle compagnie occidentali nel consorzio Cpc, tra cui Shell, ExxonMobil e Chevron.

La sospensione delle esportazioni avrebbe fatto male all’Europa, verso cui viaggiano due terzi dei volumi esportati da Cpc, per finire nei Paesi centrali, attraverso il porto di Trieste. Il tutto nel corso di una crisi globale: a giugno le esportazioni di tutti i principali fornitori dell’Europa (Azerbaigian, Kazakistan, Libia, Mare del Nord e Africa Occidentale) sono diminuite di oltre 1 milione di barili al giorno, secondo gli analisti Bloomberg. E il Financial Times stima che le sanzioni occidentali sul petrolio, man mano che entrano in vigore da qui a fine anno, priveranno il mercato mondiale di 3 milioni di barili russi al giorno.

Quanto avvenuto a Novorossiysk era un avvertimento russo, diretto tanto all’Ue quanto al Kazakistan, un Paese che la Russia vede nella sua sfera d’influenza ma che negli ultimi mesi si è mosso fuori dalla sua orbita. Nur Sultan commercia con Mosca ma rispetta le sanzioni occidentali e non ha appoggiato l’invasione dell’Ucraina, né ha riconosciuto le repubbliche del Donbass. Provocando l’ira del Cremlino, che non ha esitato a fare pressioni sul vicino kazako: da qui gli “sfortunati” ostacoli alle operazioni di Cpc, come anche il trattenimento arbitrario di carichi alimentari a marzo.

Nella settimana tra la condanna e l’appello di Cpc, il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev ha fatto intendere che stava cercando nuove rotte per il transito di petrolio e merci per aggirare la Russia. È difficile immaginare che questo, così come le ragioni legali della compagnia kazaka, siano state sufficienti per impedire il blocco delle operazioni. Più probabile che la saga del terminal di Novorossiysk sia stata una proiezione di potere da parte di Putin, giocata su un punto di pressione strategico e pensata per spaventare coloro che contrastano il Cremlino.

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