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Il danno peggiore dell’uscita di Draghi? Riguarda Putin e il gas

Di Diego Gavagnin e Vittorio D’Ermo

Il presidente del Consiglio è il leader europeo con le idee più chiare, in campo economico, su come fermare lo zar russo. Tagliare le forniture da Est puntando sul Gnl toglierebbe ogni arma di ricatto a Putin. Numeri e scenari di Diego Gavagnin, esperto di politica energetica, e Vittorio D’Ermo, economista dell’energia

Mario Draghi, tra i leader europei, è senza dubbio quello con le idee più chiare su ciò che può fermare Putin o almeno spaventarlo per indurlo a più miti consigli. Serve però determinazione, ciò che certo a Draghi non manca. Il leader italiano è stato l’unico capo di governo europeo a dire esplicitamente che comunque finisca l’aggressione all’Ucraina: “Dobbiamo eliminare per sempre la nostra dipendenza dalla Russia” (Corsera 27.6).

Ci vorranno un paio d’anni ma l’indipendenza europea dal gas russo sappiamo che è possibile, soprattutto recuperando metano liquido (Gnl) portato con le navi che arriva da tutto il mondo e può andare in tutto il mondo. Il gas non manca, ce n’è così tanto che potremmo già oggi sostituire tutto il petrolio e il carbone che consumiamo.

La solidità della posizione di Draghi la dimostrano i numeri. Fino al 2020 l’Europa importava via gasdotto 150 miliardi di gas russo con contratti pluriennali, che la Russia che è sempre stata molto attenta a non violare, sia per non pagare le penali se non lo consegnasse nell’arco dell’anno, sia per non alienarsi completamente la fiducia dei mercati. Delle compagnie private, soprattutto.

Poi c’erano i circa 40 miliardi che gli europei “compravano a pronti”, secondo necessità. Sono quelli che, consegnati abitualmente negli anni precedenti, dall’estate 2021 la Russia ha smesso di darci, senza quindi violare contratti.

Ciò nonostante i prezzi fossero in salita, perché gli acquisti della Cina – impegnata in un imponente piano di metanizzazione – stavano stressando il mercato del Gnl, assieme ad altri fattori, come la siccità in Brasile, la scarsa ventosità del Mare del Nord e il ridotto apporto del nucleare francese, con altri acquisti imprevisti di metano per la produzione di elettricità.

La Russia ha quindi in pancia 190 miliardi di gas destinati all’Europa di cui non saprà cosa fare se noi smettessimo di comprarlo. Gli amici di Putin di casa nostra dicono che smettere di comprare gas russo non risolverebbe il problema perché potrebbe essere venduto su altri mercati. È falso, ed è incredibile come la stampa nazionale non faccia mai alcuna verifica su questo.

La Russia dispone di solo due liquefattori, uno nell’isola di Sakhalin, vicino al Giappone, e uno nella Siberia Artica. Le sue esportazioni di Gnl sono residuali (39 miliardi di mc in un mercato globale di 500 miliardi nel 2021) e non riesce a espandere la produzione senza le tecnologie occidentali. Poi si parla molto del mercato cinese, già rifornito da anni via gasdotto da Sakhalin e da Paesi ex sovietici, come Turkmenistan e Kazakhstan (nel complesso circa 50 miliardi mc nel 2021).

Ci sono però due dettagli che i soloni energetici nazionali, catastrofisti come gradiscono gli editori, si scordano sempre di chiarire. Il gas che dalla Russia va verso la Cina è prodotto da giacimenti diversi da quelli che forniscono l’Europa, e non sono collegati. Potranno forse esserlo in futuro, ma si tratta di stendere altre decine di migliaia di chilometri di gasdotti dallo scarso senso economico e che richiedono molti anni per essere completati. Stesso discorso di tempi lunghi per i due progetti dalla Siberia centro-artica, verso la Mongolia e il nord della Cina.

Ma ciò che più conta è che quando la Cina, e magari anche l’India, fossero fornite di gas russo via gasdotto, si libererebbe tutto il GNL – oggi più di 200 miliardi di mc – che Pechino e Delhi comprano via navi metaniere, pronto per venire in Europa in aggiunta a quello nuovo che nel frattempo già ci stiamo procurando.

Non a caso gli armatori, che devono avere lo sguardo lungo, stanno ordinando sempre più grandi navi che usano il Gnl come carburante (e con cui produrranno a bordo anche l’idrogeno), perché sanno che entro due o tre anni il suo prezzo è comunque destinato a crollare. Con tanti saluti all’economia russa per i prossimi decenni, perché basata sulla vendita di gas e in misura minore di petrolio.

Una decisione formale dell’Europa di non essere più dipendente dal gas russo è la minaccia più seria per convincere Putin a finirla con la guerra all’Europa e all’Occidente. Draghi, come capo del governo Italiano, ci stava lavorando d’accordo con gli Usa. Adesso?

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