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Phisikk du role – Draghi, eroe per forza

Se fossimo nella mente di Draghi saremmo fortemente tentati di cogliere al volo l’occasione per lasciare la gabbia di matti in cui si è calato da un anno e cinque mesi, costretto a guerre di trincea col Conte di Montecristo e il Salvini di Milano, senza parlar del resto, invece… La rubrica di Pino Pisicchio

Una volta, invitandomi ad analizzare la toponomastica delle nostre strade alla voce “eroi del Risorgimento”, mi hanno convinto che gli eroi muoiono giovani. Goffredo Mameli, i fratelli Cairoli, i fratelli Bandiera eccetera, erano tutti giovani o addirittura poco più che ventenni quando hanno dato la vita per la Patria. Cavour, non meno celebrato da piazze e stradoni italiani, si esercitò in eroismi per lui meno letali, dando effetto al disegno dell’Italia Unita dal lato non della pugna ma della politica. E mori’ in età matura, in linea con la media dell’epoca. E non morirono fanciulli ne’ Garibaldi, a cui la pugna non dispiaceva anche esercitata come strategia, ne’ Mazzini, uomo di pensiero e di disegni “alti”. Insomma: l’eroe-icona è necessariamente giovane perché quando si cresce e si mette su famiglia vengono i pensieri: il mutuo da pagare, i figli da crescere, la moglie che non si può lasciare in condizione di vedovanza. E si affollano pure le ambizioni: carriera, denari, status eccetera.

Tutto ciò premesso possiamo chiedere atti di eroismo “risorgimentale” a Mario Draghi, giovane nello spirito sicuramente, ma non più ventenne da 11 lustri? Mettiamoci nei suoi panni: l’hanno chiamato, poggiando sulla moral suasion più autorevole di tutte, quella di Mattarella, chiedendogli di salvare la Patria con la sua personale reputazione. Gli hanno messo attorno un governo che si chiama di unità nazionale ma che proprio unità non pare, visto che quello che i sondaggi danno come primo partito, Fratelli d’Italia, è all’opposizione. Gli hanno implorato miracoli sul Pnrr, la cui unica colpa è quella di essere un acronimo ottuso. Adesso, a causa di imperscrutabili solipsismi mentali che attraversano le meningi di Conte e del suo aedo Travaglio, un pezzo dei suoi sostenitori se ne va con un curioso pasticcio tra fiduce date da una parte e negate dall’altra, facendo probabilmente felice chi, come Putin, guarda all’Italia come al Bengodi del caos.

Gli osservatori dotti sentenziano, dunque, “alle urne”. Se fossimo nella mente di Draghi saremmo fortemente tentati di cogliere al volo l’occasione per lasciare la gabbia di matti in cui si è calato da un anno e cinque mesi, costretto a guerre di trincea col Conte di Montecristo e il Salvini di Milano, senza parlar del resto. Lui, abituato a dare del tu in inglese oxfordiano ai potenti della terra, ma da un anno e più a questa parte costretto a misurarsi ogni giorno col singulto assassino dell’ultimo scappato di casa (che, appena chiusa la legislatura, rischia di tornare al lavoro usato, cioè a giocare a tressette con lo smartphone), tutta sta voglia non ce l’ha di rimanere sulla graticola per i mesi di una non brevissima ma dura campagna elettorale in cui rischia di fare da punchingball per tutti.

Per una platea parlamentare, poi, che ebbe la raffinata gentilezza di dirgli a brutto muso di no quando si trattò di votarlo al Quirinale, con la scusa di non voler sguarnire Palazzo Chigi dell’unico uomo in grado di portare a termine il lavoro iniziato per portare l’Italia fuori dal tunnel.

A proposito del tempo degli eroismi, Draghi ha appena agganciato l’età dell’ultimo Garibaldi che, è vero che fu ferito all’Aspromonte, ma poi si riprese e si fece una lunga vacanza a Caprera. Insomma: Supermario avrebbe un milione di ragioni per mandare tutto a quel paese e riprendersi la vita e scegliersi gli impegni che più gli vanno a genio. Ma, forse, non lo farà per la stessa ragione per cui non l’ha fatto prima: vuol finire ciò che ha cominciato. Si chiama, se volete, coltivazione dell’autostima. Il percorso mentale per cui chi ha lavorato parecchio per un obiettivo dice a se stesso: “Ho fatto tanto, ho sofferto, sono arrivato fin qui e adesso che faccio, butto via tutto?”.

E poi, vivaddio, siamo sicuri che i Cinque Stelle vogliono andare a votare ad ottobre? Mi pare che i ministri di Conte stiano ancora lì, hanno votato la fiducia alla Camera e al Senato il governo ha preso 172 voti su 211 votanti. L’eroismo draghiano oggi sarebbe quello di ricordarsi che, per quanto il governo sia stato battezzato di “unità nazionale”, si tratta di un titolo trompe-l’oleil, perché il partito di Meloni è all’opposizione. Un pezzetto di tupamaros decontestualizzati, alla ricerca di un Che, tutto sommato se stanno fuori non cambiano in peggio la natura dell’Esecutivo (con buona pace di tutti i parlamentari che, per definizione, vivono la campagna elettorale come un trauma. Figurarsi quando hanno la certezza di restare fuori dal nuovo parlamento).


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