Per il bene del Paese, sarebbe davvero la soluzione migliore che Mario Draghi restasse a governare fino alla fine della legislatura, ma a pensarci bene l’ex governatore della Bce potrebbe chiedersi: ma chi me lo fa fare? L’intervento di Marco Zacchera
Non si era mai vista una così generale richiesta a un premier perché rimanesse a Palazzo Chigi come il pressing in corso su Mario Draghi durante questa crisi virtualmente aperta dallo strappo del M5S.
Mercoledì sapremo, ma al di là delle previsioni dei bookmakers (dovendo interpretare i sussulti interni dei grillini rischiano di essere poco più credibili del Mago Otelma), resta il fatto che Draghi deve essersi sostanzialmente scocciato di avere a che fare con logiche opposte al suo modo di pensare pratico e pragmatico.
Poco interessato a litigi e nuove elezioni (un posto da senatore a vita per lui è molto probabile, meritato e logico riconoscimento nel momento in cui lasciasse l’attività politica), Draghi non ne può più di essere tenuto sotto scacco da una tribù impazzita di partner governativi, gruppi, gruppuscoli e correnti dove ciascuno pensa a sé stesso pur dichiarando l’esatto contrario.
Al concreto, infatti, il Pd teme oggi le elezioni, il M5S ne è terrorizzato, la Lega è incerta con Salvini che rischierebbe di perdere il suo ruolo di leader all’interno del centro-destra e lo stesso Berlusconi non ha le idee chiare. Il Cavaliere sa infatti di essere indispensabile per vincere, si sente corteggiato, fosse libero forse vorrebbe allearsi al centro con chi ci sta e invece dovrà subire il gioco altrui. Gioca facile quindi solo Meloni perché è fuori dai giochi ed è l’unica accreditata di successo, ma raggranellando voti soprattutto nel centrodestra e quindi non cambiando l’appeal complessivo della sua coalizione.
Il problema è che se si vota subito – senza avere il tempo di varare una legge elettorale proporzionale – conteranno le alleanze e per limitare i danni il Pd dovrà comunque trovare un’ intesa con almeno una parte dei grillini e alla fine siglare forse anche un accordo con Calenda, la Bonino e lo stesso Matteo Renzi, altrimenti rischia di perdere quasi tutti i collegi uninominali. Sull’altro fronte non sarà facile invece “pesare” il numero dei candidati tra cugini in tregua armata e parlamentari uscenti di Lega e FI che in qualche modo andranno tacitati vista anche la riduzione dei parlamentari da eleggere.
A rifletterci, questa della riduzione dei parlamentari è stata l’unica vera novità della legislatura a firma grillina, votata da tutti sull’onda della demagogia ma con i protagonisti di quel voto che oggi – preoccupati – si mordono le mani per il rischio di perdere il posto. Ma torniamo a Draghi e a questo coro di osanna non disinteressato.
Per molti Draghi deve restare leader perché rappresenta oggi un buon parafulmine per affrontare un autunno da “tempesta perfetta” tra crisi, inflazione, Pnrr da portare avanti, montanti proteste di piazza e un deficit pubblico sempre più smisurato. Pensate a un voto per inizio ottobre e un governo di centrodestra da varare in pochi giorni: neanche il tempo del giuramento e sarebbe investito da un tale tsunami da rischiare di spiaggiare alla prima polemica.
Già, perché se si andasse a votare adesso questo risultato sarebbe il più probabile, ma immediatamente dopo sindacati, Pd, stampa, commentatori vari, procure, Ue ecc. scatenerebbero una immediata controffensiva non solo mediatica da far impallidire Berlusconi e la sua nipotina di Mubarak.
Quindi Draghi deve restare assolutamente per il bene di tutti, ufficialmente per salvare l’economia e forse anche il Paese, ma soprattutto per togliere le castagne dal fuoco ad uno schieramento politico in grande affanno e che non vuole troppo bruciarsi nel semestre pre-elettorale.
Resta in silenzio l’interessato, che deve decidersi sapendo di essere l’unica espressione credibile dell’Italia nel contesto mondiale.
Draghi puntava fortemente al Colle ma è rimasto a Palazzo Chigi, capisce di avere sempre meno autorevolezza personale ed acqua per navigare, mentre sale il livello della crisi e scendono i sondaggi sul suo appeal. Di qui – ritengo – il suo forte desiderio di chiudere in bellezza, mandare tutti al diavolo in attesa del laticlavio e magari un posto di vertice alla Nato, il che spiegherebbe anche la totale ed acritica adesione italiana ad una intesa Usa-Nato-Ue sull’ Ucraina che non tutti in maggioranza applaudono, ma sono forzati a digerire.
Super Mario tentenna: in fondo, chi glielo fa fare?