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La scelta di Draghi e il Parlamento sull’ansa del fiume

Alla “chiama” nominativa di domani, senatori e deputati dovranno scegliere se essere “niente” oppure lavorare nell’interesse del Paese. Il commento di Giuseppe Pennisi

The world is what it is; men who are nothing, who allow themselves to become nothing, have no place in it.

Nel preparare il discorso che farà domani in Parlamento, Mario Draghi ha riletto le prime pagine di un romanzo del 1979 che aveva apprezzato molto da giovane e che rese famoso il suo autore nell’arco di pochi mesi. Il libro si chiama A Bend in the River (Un’ansa nel fiume) e l’azione si dipana in gran parte in quello che allora era lo Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo). Il suo autore è Vidiadhar Surajprasad Naipaul, allora ancora un cittadino di Trinidad e Tobago, ma che grazie a borse di studio aveva frequentato l’Università di Oxford e grazie alla sua penna collaborava a vari giornali. Il libro lo fece divenire famoso. Baronetto e membro della Camera dei Lord e nel 2001 Premio Nobel per la letteratura.

Cosa poteva interessare i lettori di una complessa vicenda che si svolge sul fiume Congo? Il succo è nella prima frase riportata in corsivo all’inizio. Da quando la lesse Draghi, sa che the world is what it is (il mondo è quello che è) ed ha sempre scelto di non fare parte dei men who are nothing o who allow themselves to become nothing (degli uomini che sono nulla o che permettono di farsi diventare nullità). Coloro che meritano to have a place in it, devono contribuire fattivamente allo sviluppo del resto dell’umanità e soprattutto della propria comunità.

Sa perfettamente che in caso di corsa ad elezioni anticipate, diversi provvedimenti essenziali per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non concluderebbero il loro iter parlamentare (ad esempio il disegno di legge sulla concorrenza, il riordino degli istituti di ricovero e cura – tutte materie per le quali i decreti attuativi devono essere varati entro dicembre). Sempre entro dicembre devono essere emanati i provvedimenti attuativi per le riforme del Codice degli appalti, del processo civile e penale. Sono, poi, in fase di conversione in legge i decreti su infrastrutture e mobilità e sulle semplificazioni tributarie. L’elenco non è completo ma solo indicativo. Senza un pilota autorevole ed energico, il contratto che l’Italia ha firmato con l’Unione europea non verrà assolto e, quindi, l’Ue avrà pieno titolo per chiudere il rubinetto del finanziamento degli investimenti.

Non sono, però, le misure collegate al Pnrr che inducono Draghi a restare alla guida del governo, sempre che abbia con sé la maggioranza dei parlamentari (possibile dato lo sbriciolamento del Movimento Cinque Stelle) molti dei quali stanno trovando alloggio in una casa “centrista”, ciò che più lo spinge è la preparazione della Nota Aggiuntiva al Documento di Economia e Finanza (Nadef) e al disegno di legge di Bilancio, due documenti che hanno una valenza triennale e, quindi, indirizzano anche la prossima legislatura.

Draghi – presumo – presenterà un programma scarno ma tagliente: fine degli scostamenti di bilancio (per facilitare la riduzione del peso del debito delle pubbliche amministrazioni sul Pil), riduzione delle tax expenditures (seguendo le indicazioni formulate in questi anni dal ministero dell’Economia e delle Finanze), riassetto della spesa sociale (cominciando da quel Reddito di cittadinanza i cui percettori dovrebbero accettare il lavoro proposto – anche se non sotto casa – pena perdita dell’assegno) e così via.

Alla “chiama” nominativa, senatori e deputati dovranno scegliere se essere nothing o allow themselves to become nothing oppure lavorare nell’interesse del Paese.

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