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L’economia del pallone a 40 anni dai Mondiali ’82

Il 2020 e il 2021 sono stati anni molto difficili per tutti i settori. Per lo sport, e il calcio in particolare, si tratta oggi di impostare una ripresa consapevole e sostenibile, con il fine di tornare ad essere un modello per la società. Cosa si è detto al live-talk di presentazione della rivista Formiche “La partita del calcio. L’economia del pallone a 40 anni dai Mondiali ‘82” con Lorenzo Casini, Evelina Christillin, Piero Trellini e Gianluca Calvosa

La pandemia ha messo a dura prova la nostra società e tutti i comparti ne hanno risentito. L’impatto è stato forte e oggi si raccolgono i pezzi e si prova a ricostruire. Il settore del calcio non è stato esente da questo scossone.

“Nel calcio italiano la pandemia ha generato una flessione in due anni di quasi sette miliardi di euro, che ha prodotto una perdita aggregata di quasi due miliardi sulle ultime due stagioni”, ha esordito Gianluca Calvosa, amministratore delegato Standard Football, in occasione dell’evento di presentazione della rivista Formiche sull’economia del calcio “La partita del calcio. L’economia del pallone a 40 anni dai Mondiali ‘82”, alla presenza anche di Lorenzo Casini, presidente Lega Serie A, Evelina Christillin, membro del Consiglio della Federazione internazionale del calcio (Fifa), Piero Trellini, giornalista e autore del libro “La partita”, moderati dalla direttrice di Formiche Flavia Giacobbe.

Sembrerebbe, però, che il trend abbia una storia molto lunga. “Questo sbilanciamento ha origine prima del Covid-19. Negli ultimi dieci anni il calcio professionistico italiano ha avuto ricavi più bassi dei costi: sono cresciuti gli stipendi dei calciatori Sono perciò necessari interventi di stampo industriale”, ha continuato Calvosa. In effetti, i cambiamenti affrontati dal settore sono diversi e lo coinvolgono anche sul piano valoriale.

Tra ieri e oggi…

È proprio su questo che emergono le differenze tra ieri oggi, come evidente anche nel paragone proposto con i Mondiali del 1982. “L’Italia di oggi è totalmente diversa rispetto a quella dell’82 perché il calcio ha perso la sua personalità – ha detto Piero Trellini – il momento topico di una partita di calcio, cioè quello del gol, ne è un esempio lampante. 40 anni fa si esultava alzando le braccia, oggi invece l’esultanza si studia a tavolino, la spontaneità è in qualche modo morta”.

Cambiamenti che coinvolgono anche il percepito della società, che oggi sembra accettare la progressiva standardizzazione dei gesti antisportivi: “Il calcio è sì lo specchio dei tempi, ma è anche un propagatore di valori”, ha poi concluso Trellini. Dello stesso avviso anche Lorenzo Casini, secondo cui il calcio, come specchio dell’epoca, cambiando ha seguito le evoluzioni (o le involuzioni) dei nostri tempi: “Il patrimonio culturale è profondamente legato a quello dello sport, proprio per questo il calcio deve preoccuparsi di essere percepito dalla gente come strumento di integrazione e inclusione”.

I risvolti economici

Dato che l’industria calcistica restituisce un valore importante all’economia italiana, che nel 2021 si attestava poco oltre i dieci miliardi di euro di contributo netto al Prodotto nazionale lordo, non si può e non si deve perdere l’occasione di ripensare il percorso che il comparto sta prendendo.

“Si tratta di un comparto che al di là del coinvolgimento emotivo, ha un valore puramente economico di contributo all’economia nazionale”, ha sottolineato Gianluca Calvosa, proprio a mettere in evidenza l’urgenza di rimodulare gli elementi che oggi rendono insostenibile il settore, primo tra tutti la disparità ormai decennale tra ricavi e costi. “Sebbene il calcio sia ritornato a livelli di ricavo pre-pandemici, nelle cinque leghe più ricche a livello internazionale, registra uno sbilanciamento che richiede più interventi soprattutto sul fronte dei salari dei calciatori”, ha sottolineato.

Sul tema si è espressa anche Evelina Christillin, secondo cui il problema oggi sarebbe quello di limitare i costi: “La nuova valutazione finanziaria Uefa impone agli agenti di non spendere oltre il 70% dei ricavi del club stesso si tratta quindi proprio di una questione di bilanciamento tra costi e ricavi, devono essere gli stakeholder del calcio a trovare un sistema che li renda sostenibili per affrontare il tema dell’equilibrio di bilancio”.

In conclusione, come nel caso del famoso mondiale dell’82 che secondo molti è stato quello che ha emozionato di più rispetto ai tanti momenti vissuti, questo sport deve tornare a brillare e a portare avanti una favola, per la quale, oggi più che mai servono i giusti presupposti.

 

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