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F-16 e curdi, l’altro incasso di Erdogan per il sì alla Nato

L’inflazione al 73,5 per cento, su cui però impattano altri numeri di istituti di ricerca non governativi (che la posizionano al 160 per cento), è il principale metro di valutazione delle policies turche in questo momento

Non è stato un sì obtorto collo quello che Recep Tayyip Erdogan ha pronunciato all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato dal momento che, tra le altre cose, incasserà anche gli F-16 Usa e tutte le richieste anti-curde. Nello specifico, i primi gli serviranno per bilanciare i caccia Rafale francesi acquistati dalla Grecia e le seconde come deterrente all’opposizione interna in vista delle elezioni del prossimo anno.

F-16

Il via libera alla vendita dei caccia all’aeronautica turca è arrivato direttamente dal Presidente americano: “Quello che ho detto l’ho detto già a dicembre, come ricorderete, dovremmo vendere loro i jet F-16 e modernizzare anche gli altri. Non è nel nostro interesse non farlo”. Per cui si è definito fiducioso dell’approvazione del Congresso, passaggio imprescindibile per portare a compimento l’affare. Entrando nel merito, la richiesta turca è di 40 caccia F-16 prodotti dalla Lockheed Martin e quasi 80 kit di modernizzazione per i suoi aerei da guerra esistenti.

Parlando con i giornalisti l’Assistente Segretario alla Difesa per gli Affari Internazionali, Celeste Wallander, ha affermato che il Pentagono “sostiene pienamente i piani di modernizzazione della Turchia per la sua flotta di F-16 “. Valore complessivo dell’acquisto, 6 miliardi di dollari.

La partita ora si sposta al Congresso, dove il presidente della commissione esteri Bob Menendez è contrario all’accordo, principalmente perché Erdogan dal 2017 ha acquistato il controverso sistema di difesa russo S-400. Di contro Ankara aveva replicato che, in caso di mancato arrivo degli F-16, avrebbe chiesto a Mosca caccia di fabbricazione russa.

No curdi

Il presidente turco ha ribadito a chiare lettere che Finlandia e Svezia devono mantenere le promesse fatte alla Turchia, propedeutiche alla revoca del veto di Ankara al loro ingresso nella Nato, ovvero completare le modifiche legislative sui terroristi il prima possibile.

Per tutta risposta l’opposizione al partito di Erdogan ha deciso di sostenere un unico sfidante al presidente in occasione delle prossime elezioni presidenziali. L’HDP e i partiti di sinistra stanno perseguendo un’alleanza per le elezioni parlamentari, ha annunciato il leader del Partito popolare repubblicano (CHP) KemalKılıçdaroğlu riferendosi al partito filo-curdo. “Sarebbe più appropriato proporre un candidato congiunto per le elezioni presidenziali”.

Non va dimenticato che i principali fronti caldi per Ankara sono detti dalla guerra civile in Siria, dal Pkk, dai rifugiati siriani che risiedono in Turchia e dal movimento di Fetullah Gülen, il predicatore che Erdogan accusa del colpo di Stato del luglio 2016. Proprio in occasione del sesto anniversario di quel golpe si teme un’azione dimostrativa, su Cipro o più in generale sul Mediterraneo orientale da parte del presidente.

Scenari

Il dietrofront di Erdogan nei confronti dell’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia, dopo il muro iniziale, rientra nella più ampia strategia geopolitica turca, iniziata lo scorso anno in concomitanza con la crisi della lira turca, che sta ancora provocando sconvolgimenti nell’economia del paese.

Si somma alle altre inversioni di marcia, come le relazioni riprese in Medio Oriente. Ad esempio, poche settimane fa il ministro degli Esteri turco Mevlut Çavuşoğlu ha visitato Gerusalemme dopo dieci anni di acuta rivalità, per via della vicinanza di Ankara a Teheran. Lo stesso Erdogan è stato recentemente in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti per chiedere nuovi investimenti finanziari. L’inflazione al 73,5 per cento, su cui però impattano altri numeri di istituti di ricerca non governativi (che la posizionano al 160%), è il principale metro di valutazione di tutte policies turche in questo momento.

@FDepalo

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