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Perché la fuga delle multinazionali Usa dall’India è un problema geopolitico

Dal comparto automobilistico con Ford, General Motors e Harley Davidson, sino al settore bancario con Citibank: diversi colossi americani (e non solo) lasciano il Paese asiatico per grane fiscali e scarsa competitività, indebolendo il fronte occidentale in favore della Cina. Ma il mercato indiano resta attraente e strategico

Se ne vanno così. Con qualche multa da pagare e un conto corrente in rupie da estinguere senza troppi rimpianti. Diverse multinazionali americane (e non solo) hanno annunciato piani ben dettagliati per lasciare l’India. Al centro della ritirata strategica ci sono questioni fiscali irrisolte e una scarsa competitività sul mercato indiano. Non è solo un problema economico e commerciale: c’è anche la questione geopolitica. La fuga delle aziende straniere, a cominciare dai colossi statunitensi, potrebbe indebolire il fronte occidentale in India a favore della Cina.

Dalle case automobilistiche come Ford, General Motors e Harley Davidson, sino al settore bancario con Citibank: l’elenco delle grandi società americane in procinto di chiudere i propri stabilimenti indiani è vasto e diversificato. E fuori dagli Usa comprende, tra le altre, la francese Carrefour, la svizzera Holcim e la tedesca Metro.

In un articolo pubblicato dal quotidiano statunitense The Hill e ripreso dall’Indian Express, i direttori dell’Hudson institute di Washington, Hussain Haqqani e Aparna Pande, hanno scritto che l’amministrazione di Joe Biden “dev’essere allarmata” dalle decisioni di diversi gruppi esteri di ritirarsi dal mercato indiano. “Ciò assume un significato, perché per anni gli Stati Uniti hanno sperato nell’ascesa dell’India per controllare il crescente potere della Cina”.

Era il settembre del 2019 quando l’allora capo della Casa Bianca, Donald Trump, accolse il primo ministro dell’India, Narendra Modi, davanti a 50mila americani radunati a Houston. Quell’incontro segnò una svolta nei rapporti tra i due Paesi. Gli statunitensi, dal punto di vista commerciale, iniziarono a considerare l’India non più come una terra di carestia alleata con l’ex Unione sovietica, ma come un partner prezioso contro le mire espansionistiche di Pechino. Houston, avevamo un problema. Ma era stato superato da una storica stretta di mano tra Trump e Modi.

Oggi Usa e India hanno posizioni differenti sulla Russia, ma condividono l’interesse diplomatico nell’affrontare il dossier-Indo Pacifico su punti salienti come la cooperazione militare e l’approfondimento dei rapporti economici, commerciali, industriali e tecnologici anche in chiave anti-cinese.

Le aziende che abbandonano l’India, in tal senso, lasciano un vuoto non solo economico. In un rapporto del 2021 sul clima degli investimenti dell’India, il Dipartimento di Stato degli Usa aveva osservato come il Paese asiatico fosse “un luogo difficile per fare affari”. Nel 2022 la situazione non sembra essere migliorata. Secondo i direttori dell’Hudson institute, “l’attuale tasso di crescita economica dell’India è tristemente inadeguato per gli scopi interni del Paese, così come l’obiettivo di diventare un serio rivale di un colosso globale come la Cina. Una circostanza che rende le politiche economiche dell’India una preoccupazione per gli Usa”.

Tuttavia, nel pezzo scritto per The Hill, Haqqani e Pande hanno sottolineato come l’accesso al grande mercato di consumo indiano sia “un sogno che si può ancora realizzare”, così come “la speranza di un potenziamento delle infrastrutture civili e militari dell’India”. Nonostante l’emorragia di alcuni grandi gruppi, Nuova Delhi, per le potenze atlantiche, resta economicamente attraente e geopoliticamente strategica.


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