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L’Italia brucia. L’impunità dei terroristi dei roghi

Nuvole di fumo, ceneri tossiche, aria che diventa irrespirabile e migliaia di ettari di verde trasformati in immani torce che divorano beni, animali e biodiversità. Quasi tutti gli incendi sono provocati dall’uomo, eppure, non si becca quasi mai un incendiario… Il commento di D’Angelis

Ma davvero l’incendio è un fenomeno naturale? No, ogni rogo è un crimine contronatura, l’innesco assassino appiccato da chi è pronto a uccidere e a mandare in fumo una straordinaria opera ambientale secolare. I terroristi dei roghi, chiamiamoli così perché così è, con il loro sadismo e nella disattenzione generale stanno triplicando gli attacchi nell’anno tra i più tropicali. In questo supersecco 2022, stanno appiccando in media più di un incendio al giorno dall’inizio dell’anno, con il terribile boom tossico dal
maggio scorso della nostra sesta primavera più calda di sempre.

L’Italia sta bruciando dal Friuli alla Liguria, dalla Toscana alla Sardegna, dal Lazio alla Sicilia, per non dire della Roma affumicata da fuochi e fiamme e nubi tossiche dolose e colpose, o di una Versilia irriconoscibile che ha visto domato l’ultimo megaincendio sulle sue colline dopo giorni, e a fatica, sia da terra che dalle acrobazie dei canadair, ma dopo essersi mangiato 900 ettari di verdi boschi e antichi uliveti e costringendo alla fuga circa mille persone. La nostra Italia è costellata di roghi con scenari di abitazioni circondate dalle fiamme, dense nuvole di fumo gonfie di ceneri tossiche, aria che diventa irrespirabile per migliaia di ettari di verde trasformati in immani torce che divorano beni, animali e biodiversità. L’Italia brucia molto favorita dalle ondate di calore africano del global warming che stazionano sempre più a lungo sulle nostre terre inaridite dalla siccità più dura del secolo, da sottoboschi facili ad incendiarsi, dai fortissimi venti caldi e tesi e dall’assenza perdurante di precipitazioni che stanno esponendo il nostro patrimonio naturale alla mercé di facili inneschi criminali, con una escalation impressionante.

L’European Forest fire Information System calcola che in area Ue un’area più vasta delle Baleari è già andata in fumo per roghi accesi in tutto il continente dal 1° gennaio scorso, e ad oggi hanno bruciato 515mila ettari di verde soprattutto in Italia, Spagna, Portogallo e Francia. Da noi sono divampati, dagli inizi di giugno, ben 1.946 incendi che finora hanno bruciato 27.883 ettari, con costi stimati da Coldiretti per oltre 10.000 euro ad ettaro per spegnimento e bonifiche. E noi italiani abbiamo alle spalle un 2021 già preda di delinquenti piromani che hanno incenerito una superficie di 110 mila ettari, per non dire del picco del 2017 con 160 mila ettari in fumo per 8.000 roghi, un record che se continua così rischiamo oggi di raggiungere.

Di incendi non solo si muore, come Elena Lo Duca la mamma coraggio della Protezione Civile di Prepotto nell’udinese durante le operazioni di spegnimento, ma gli incendi predispongono il territorio a dissesti geo-idrologici con frane e alluvioni. E se pensiamo che dal 1980 ad oggi le superfici interessate dal fuoco sono state di oltre 4 milioni di ettari con una media di 106.894 ettari all’anno, abbiamo un’idea del dramma ampiamente sottovalutato.

Ma il paradosso degli incendi è sempre lo stesso: se è sempre chiara la matrice dolosa dell’innesco, quasi sempre restano oscuri e senza volto i delinquenti incendiari. Chi li ha visti? Quanti sono stati finora denunciati o arrestati? E quanti, se beccati con le mani nel fuoco, tornano a incendiare?

Eppure, sappiamo che sono statisticamente irrilevanti gli incendi naturali provocati da una eruzione vulcanica, un fulmine o auto-combustione. Il Corpo Forestale dello Stato in una sua recente indagine mostra tra le cause principali degli incendi boschivi un incredibile e impunito ventaglio di folli distrazioni e di criminali motivazioni: fiamme prodotte dalle scintille delle ruote di treni o di particolari locomotive, da mozziconi di sigaretta o da fiammiferi accesi lanciati nella vegetazione, dalla ripulitura di incolti o di scarpate stradali e ferroviarie fatte col fuoco che finisce fuori controllo così come dalla pratica micidiale della rinnovazione del pascolo con la bruciatura delle stoppie, dal mancato rispetto dei divieti di abbruciamenti nelle ore più calde e ventose, dall’utilizzo di macchinari e attrezzi agricoli soggetti a surriscaldamento che possono produrre fiamme libere o scintille, dalla mancanza di estintori portatili per il primo intervento e di fasce di terreno tagliafuoco, da attività ricreative e turistiche, da lanci di petardi e razzi, dal brillamento di mine o di esplosivi, dall’uso di apparecchi a motore o a fiamma, dalla bruciatura di rifiuti in discariche abusive, dalla cattiva manutenzione di elettrodotti, dalla volontà di recuperare terreni agricoli a spese del bosco, dalla speculazione edilizia, dall’apertura col fuoco di piste forestali, da chi lucra sugli affari dei rimboschimenti e delle bonifiche e degli spegnimenti, dal bracconaggio, per ottenere i prodotti del passaggio del fuoco, da ritorsioni della criminalità organizzata o da vendette personali, da reazioni ai vincoli imposti nelle aree protette, per divertimento di minorenni, per deprezzare aree turistiche concorrenti, per patologie comportamentali con piromania e mitomania.

Questi criminali aprono nel nostro ambiente ferite che solo dopo molti decenni potranno essere rimarginate, con vittime e danni economici al paesaggio, all’agricoltura, al turismo. In un ettaro di superficie in cenere perdono la vita in media anche 400 animali selvatici tra rettili e mammiferi e 300 uccelli. E per ricostituire un bosco di montagna occorrono secoli.

E allora, perché al tempo di droni e telecamere e geolocalizazioni non si becca quasi mai un incendiario? È questo un problema per l’oggi e per il futuro prossimo di fronte alla rivincita di boschi e foreste e alla ritrovata ricchezza di biodiversità della penisola che ha visto l’aumento clamoroso del 25% della sua superficie boschiva negli ultimi 30 anni, con il raddoppio insperato del manto verde rispetto all’immediato dopoguerra. Oggi alberi e vegetazione stanno occupano un terzo del territorio italiano, per l’esattezza 11.778.249 ettari su 30.133.800. Incredibile, se pensiamo che solo 80 anni fa occupavano meno di 5 milioni di ettari! E nel Settecento ancora meno, dopo le deforestazioni amazzoniche medievali e rinascimentali.

Se l’Italia è sempre più colorata di verde da foreste, aree boscate ed ecosistemi assimilabili, come la macchia mediterranea, è perché il selvatico si è ripreso lo spazio che l’economia rurale gli aveva sottratto, con l’abbandono dell’Italia coltivata stimato da Coldiretti negli ultimi 25 anni in una perdita di oltre un quarto delle nostre terre un tempo “presidiate” da famiglie di contadini e da aziende agricole. Se la naturalità è un valore in sé, lasciar fare tutto alla natura in tanti casi è semplicemente folle. Ed è doppiamente folle mettere questa naturalità strepitosa a rischio del terrorismo incendiario, la forma di criminalità da contrastare con forza anche con diffuse campagne di prevenzione e educazione oltreché con una durissima repressione.


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