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La democrazia non è perfetta, ma è l’unica via contro le storture della politica

Di Federica Vinci

Al Copenaghen Democracy Summit svoltosi lo scorso giugno il racconto del dialogo tra l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama e Federica Vinci, vice sindaca del comune di Isernia, delegata alle politiche giovanili, politiche comunitarie e turismo, co-fondatrice e co-presidente di Volt Italia, parte di Volt Europa, il primo partito progressista paneuropeo

“La democrazia non è inevitabile e se vogliamo che fiorisca, dovremo dimostrare il suo valore, ancora e ancora, nel migliorare la vita della gente comune”.

Queste le parole che mi risuonano nella testa a pochi giorni dalla crisi di governo che sta scuotendo il Paese. Una crisi che ci regalerà una campagna elettorale sotto l’ombrellone in previsione di truppe di astenuti mai raggiunte. Non sono parole a caso, ma parole pronunciate da Barack Obama il giorno in cui ho avuto l’onore di incontrarlo e dialogare con lui sul palco del Copenhagen Democracy Summit, lo scorso 10 giugno.

Come co-fondatrice di Volt Italia e vice sindaca del comune di Isernia, nel 2020 sono stata scelta dalla Fondazione Obama tra le più promettenti giovani leader dell’Unione Europea e, proprio per il lavoro svolto a Isernia, ho potuto dialogare con lui sui tre temi centrali per il futuro della democrazia: leadership, politica e attivismo nell’era digitale.

La nostra chiacchierata si è aperta con uno sguardo critico sulla realtà: sempre più persone stanno perdendo fiducia nella democrazia, nella politica e nelle istituzioni democratiche che le governano.

D’altronde, come non potrebbero? Come ha detto Obama stesso, basterebbe guardare alla Cina: nonostante le note limitazioni in termini di diritti umani, è uno dei pochi paesi in cui si vede un modello di avanzamento ordinato e un miglioramento materiale nella vita delle persone. Nel frattempo, le democrazie più sviluppate stanno pagando lo scotto della globalizzazione con enormi disuguaglianze di reddito, con l’abbassamento del potere contrattuale dei lavoratori e con la totale rottura dell’ascensore sociale – il che significa che la mia generazione vivrà in condizioni di povertà e precariato più alte rispetto ai propri genitori alla stessa età.

La percezione generale è che il divario tra ricchi e poveri aumenta, le condizioni di vita per la classe media peggiorano, mentre i politici restano chiusi nelle proprie stanze, perdendo la percezione della realtà e fomentando fratture sociali, piuttosto che proponendo soluzioni reali alle crisi dei nostri Paesi.

In risposta, i cittadini sentono meno responsabilità verso il proprio Stato. La fiducia diminuisce, l’astensionismo aumenta e così le instabilità e le frizioni: l’Italia delle ultime settimane, o forse anni, ne è un esempio.

Se questi sono i problemi, Barack Obama ci ha voluti sul palco per parlare di soluzioni. Le mie? Chiarezza, intraprendenza e coerenza.

In primo luogo, come anche detto dal Presidente, io sono convinta che serva chiarezza. È finito il tempo in cui si può fare politica sbandierando solo ciò a cui si è contrari. Se vogliamo rafforzare le nostre democrazie, i nostri obiettivi devono essere chiari: ridurre il divario economico e sociale, espandere la classe media, ripristinare il senso di controllo delle persone sulla propria vita politica ed economica e rendere le aziende più responsabili dal punto di vista sociale e climatico.

Numero due: uno dei più grandi problemi del nostro Paese è un sistema che scoraggia la partecipazione attiva a chiunque non ne faccia già parte. Per anni, una politica scandalistica e cleptocratica si è impadronita del nostro spazio pubblico, portando all’automatica equazione “politico = ladro”. Eppure, la politica è letteralmente ogni cosa: dall’aria che respiriamo, al clima, ai trasporti, al nostro diritto di abortire, agli abiti che indossiamo, al modo in cui parliamo. La politica è tutto. Nonostante ciò, lasciamo che a partecipare siano generalmente le persone di cui abbiamo la più scarsa considerazione proprio a causa di questa equazione. È un controsenso. Abbiamo bisogno di più donne e uomini che sappiano esattamente per cosa lottano e che questo coincida in maniera assoluta con il Bene Comune. E, pensando alle elezioni italiane, serve un sistema che ne permetta l’accesso e che non si chiuda, con raccolte firme impossibili, alla nascita e presentazione di nuove (e non rinnovate) forze politiche. Perché serve intraprendenza politica, ma anche le condizioni per trasformarla da potenza in atto.

Terzo ed ultimo punto, dobbiamo riportare la Politica, quella etica, delle competenze, dell’ascolto e del coinvolgimento, ai livelli locali e regionali. Dobbiamo collegarla ai cittadini e ricreare quel patto sociale tra governanti e governati che è ormai totalmente logorato, ma che resta alla base della fiducia nelle istituzioni. Solo tornando nei piccoli comuni e dimostrando da qui cosa vuol dire governare con coraggio e coerenza, con il confronto costante con i cittadini e le cittadine, si può ripartire per una democrazia forte e inclusiva.

La democrazia non è un sistema fallito: non è perfetta e spesso ci lascia indietro, soprattutto se si è donne e giovani in un Paese come l’Italia. Resta però l’unica che ci dà i mezzi per operare sulle storture che essa stessa crea, se si opera con etica e coraggio politico.

A queste condizioni, come direbbe il Presidente Obama: “Yes, we can”.

 

 

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