Il Giappone post-Shinzo Abe, la Cina revisionista in cerca di egemonia, le alleanze degli Stati Uniti per contenerla. Da dove nasce la corsa all’Indo-Pacifico e dove può finire? Spunti dalla lezione del prof. Gianluca Bonanno (Kyoto University) alla TOChina Summer School organizzata dal TOChina Hub
Nonostante l’Indo-Pacifico sia una regione vasta che ospita paesi, popoli e idee molto diversi fra di loro, il dibattito sulla sua importanza economica e politica spesso ruota solo attorno ai punti di vista delle due superpotenze, Cina e Stati Uniti. Tuttavia, anche se frequentemente trascurate, medie potenze come il Giappone hanno visioni distinte dell’Indo-Pacifico che offrono prospettive importanti sul futuro “post-liberale” dell’ordine regionale.
Nel suo seminario, Gianluca Bonanno, professore associato presso l’Università di Kyōto e presidente dell’International Peace and Sustainability Organization, ha allargato il focus di questa sedicesima edizione della TOChina Summer School dalla Cina al resto dell’Indo-Pacifico.
Bonanno ha iniziato notando che l’Indo-Pacifico è un costrutto socio-politico. Ogni Stato ha una visione su dove siano i confini della regione. Le differenze non si limitano alla geografia, ma sono anche politiche ed includono grandi divergenze sulla struttura dell’ordine regionale. Malgrado ciò, ci sono delle convergenze sul concetto di Indo-Pacifico: la continuità tra l’Oceano Indiano e il Pacifico con il Sud-est Asiatico come fulcro e l’importanza di un ordine internazionale basato su regole, anche se non necessariamente liberali.
Secondo Bonanno, il concetto di Indo-Pacifico ha preso piede per due motivi: la crescente assertività della Cina e il declino della presenza statunitense. Gli stati della regione hanno iniziato a rendersi conto dei cambiamenti in atto da tempo, percependo una crescente minaccia da Pechino, ma allo stesso tempo non dimenticando l’importanza di mantenere un rapporto economico e commerciale stabile con la Cina. Il primo a muoversi in questa direzione fu il Giappone il cui ex-primo ministro Shinzo Abe utilizzò l’espressione “Indo-Pacifico” per la prima volta in un discorso tenuto al parlamento indiano nel 2007.
A differenza di Washington che pone enfasi sul contenimento della Cina, e di Pechino che invece desidera riformare l’ordine internazionale secondo i suoi principi e valori, la visione regionale di Tokyo, nota come “Free and Open Indo-Pacific”, si basa sulla inclusività e su un ordine comune basato sulle regole. Questa prospettiva giapponese, che ha le sue radici nel modo in cui Tokyo si reinventò nel dopoguerra ristabilendo rapporti economici e di sicurezza con i paesi della regione, mette in risalto la necessità di nuove regole che rispondano alle sfide ed esigenze del mondo contemporaneo.
Per il Giappone è vitale rispondere non solo ai problemi di sicurezza, ma anche quelli legati alla mancanza di infrastrutture, alla tecnologia e alla capacità di rispondere a disastri naturali e al cambiamento climatico. Inoltre, le regole dell’ordine regionale non devono necessariamente essere quelle preferite dall’Occidente, purché siano accettate e valide per tutti. Per Tokyo promuovere la democrazia non è un obiettivo diplomatico ma un ideale a cui aspirare nel lungo termine. Per questa ragione è possibile sorvolare questioni politiche e ideologiche per favorire il dialogo con tutti.
Tuttavia, per Bonanno, la democrazia offre al Giappone e ad altri paesi dei vantaggi per quanto riguarda la creazione di istituzioni che favoriscono la cooperazione internazionale. Le democrazie hanno una maggiore capacità di leadership per quanto riguarda sia il risolvere problemi, che il formulare proposte innovative che tengono in considerazione gli interessi di tutti. Tuttavia, per il momento gli stati dell’Indo-Pacifico, a differenza dei paesi europei, non sono interessati alla creazione di istituzioni sovranazionali regionali “forti” poiché esse ne limiterebbero la sovranità. Infatti, attualmente nella regione esistono solo organizzazioni definite come “leggere” come l’Asean e il Quad.
Secondo Bonanno, la Cina e la sua diplomazia assertiva nel Mar Meridionale Cinese, nell’Himalaya e nello Stretto di Taiwan potrebbero dare la spinta necessaria ai paesi dell’Indo-Pacifico per aumentare la cooperazione fra di loro e stimolare una maggiore istituzionalizzazione dell’ordine regionale. Nonostante ciò, per il momento gli Stati dell’Indo-Pacifico, persino gli stati-isola più piccoli, preferiscono mantenere buone relazioni con tutti per conservare una più ampia possibilità di scelta e un numero maggiore di opzioni in politica estera (una pratica nota come “hedging”).
Questi paesi non sono molto interessati nelle organizzazioni create principalmente per gestire problemi di sicurezza fra paesi e non vogliono essere costretti a scegliere dato che molti hanno una visione dell’ordine regionale vicina a quella giapponese, ossia: adattare l’ordine esistente per renderlo più inclusivo, permettere una cooperazione e coordinazione maggiore verso obiettivi comuni e favorire la gestione delle divergenze fra i paesi della regione.
In conclusione, Bonanno ritiene che un ordine basato puramente sulla sicurezza non sia più possibile e che la visione giapponese basata sull’inclusività e su pilastri quali le infrastrutture fisiche e digitali, la tecnologia, la cibersicurezza, l’intelligenza artificiale e gli scambi di tecnologia sia più adatta all’Indo-Pacifico.