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Lavoro ibrido, i Paesi più attraenti per i nomadi digitali

Dagli Emirati Arabi Uniti al Brasile, ma anche Firenze. Molti cambiamenti sul mondo del lavoro, accelerati dalla pandemia, sembrano restare. Dove ci porta (e perché) lo smart working e quali sono le conseguenze negative di questa tendenza. Il reportage della Bbc

Conti in banca, affitto regolare, esenzione fiscale. Circa 25 Paesi hanno avviato una serie di programmi con agevolazioni e incentivi per attrarre i nomadi digitali. In questo modo, possono lavorare in maniera legale, per più tempo, con sconti significativi delle case.

Una delle principali destinazioni sono gli Emirati Arabi Uniti, che da marzo del 2021, con l’aiuto della pandemia, ha offerto la possibilità di residenza di un anno per i nomadi digitali. Il visto prevede accesso alla maggior parte dei servizi pubblici e l’esenzione dell’imposta sul reddito.

Ne ha beneficiato Julien Tremblay, ingegnere di software di Montreal, di 31 anni, che vive a Dubai mentre continua a lavorare per un’impresa canadese. All’emittente britannica Bbc, il giovane racconta che quando cominciò ad essere nomade digitale, cinque anni fa, “c’erano poche opzioni per i visti”. Ma programmi come quello emiratino “ti fanno uscire dall’incertezza legale e ti permettono di lavorare pienamente con il regime fiscale del posto dove abiti. Se hai intenzioni di diventare non residente del tuo Paese di origine, è anche molto più facile dimostrare che sei andato via”.

Prima di queste procedure, i nomadi digitali vivevano in un limbo legale. Non avevano il permesso per lavorare in un Paese straniero, ma non erano nemmeno dipendenti locali. “I nuovi visti per nomadi digitali creano una base più solida – spiega la Bbc -, stabilendo un quadro legale per dare più tranquillità sia ai lavoratori in smart working, sia alle imprese che li assumono”.

L’emittente sottolinea che non deve vedersi come una strategia per evadere le tasse: “La maggior parte dei nomadi digitali ancora pagano le tasse nei loro Paesi di origini per mantenere la cittadinanza o ricevere i benefici del sistema sanitario e le pensioni”.

Uno studio del Migration Policy Institute, organizzazione indipendente con sede negli Stati Uniti, indica che sono 25 i Paesi che hanno lanciato nuovi visti per i nomadi digitali. La tendenza, partita con la pandemia, è cominciata in piccoli territori che dipendono dal turismo, per espandersi successivamente a livello globale. Per ora, grandi economie come Emirati Arabi Uniti e Brasile hanno i loro programmi specifici. I requisiti variano da Paese a Paese. Negli Emirati, per esempio, è richiesto uno stipendio minimo di 5000 dollari al mese, mentre in Brasile solo 1500 dollari e a Malta 2700 dollari. I governi, con queste iniziative, vogliono attrarre nuovi talenti e capitalizzare la crescita del lavoro da remoto.

In Argentina, chi presenta la richiesta per il visto da nomade digitale può recuperare l’investimento con tariffe speciali per l’alloggio, spazi di coworking e voli interni con Aerolineas Argentinas. In Italia, i comuni di Venezia e Firenze hanno sviluppato programmi per aiutare i lavoratori da remoto quando arrivano in queste città.

Prithwiraj Choudhury, ricercatore specializzato nella geografia del lavoro nella Scuola di Business di Harvard, sostiene che ci sono molti benefici per i Paesi che accolgono i nomadi digitali: “Prima di tutto, il lavoratore spende in dollari nelle economie locali. E fa networking con imprenditori del posto […] È un buon esempio di come si può creare ecosistema se inviti stranieri talentuosi nel tuo Paese, anche solo per un anno”.

Tuttavia, ci sono effetti negativi, come ad esempio l’aumento del costo della vita locale, così come la concorrenza, poca disponibilità immobiliare e la creazione di “bolle di privilegi”. Questi effetti si stanno già evidenziando a Bali (Indonesia), Goa (India) e Honolulu (Stati Uniti).



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