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Perché la maxi-riserva di terre rare in Turchia spaventa la Cina

Una scoperta che potrebbe bastare a soddisfare la domanda globale per decenni. Ankara si frega la mani, mentre Pechino già invita a non vederla come una minaccia al suo dominio in questo settore cruciale per le transizioni verde e tecnologica 

La scorsa settimana la Turchia ha annunciato di aver scoperto un’enorme riserva di terre rare. Così grande che potrebbe da sola soddisfare la domanda globale per decenni.

Secondo il ministero turco dell’Energia e delle risorse naturali, si tratta di una riserva di 694 milioni di tonnellate di minerali di terre rare a Beylikova, nell’Anatolia Centrale. È la seconda più grande al mondo dopo una che si trova in Cina da 800 milioni di tonnellate, ha riportato AA Energy. Contiene 10 dei 17 elementi delle terre rare. E presenta un vantaggio da non trascurare: sono vicini alla superficie. Il che semplificherebbe l’estrazione.

Il ministro Fatih Dönmez ha dichiarato che la costruzione delle infrastrutture di lavorazione inizierà entro la fine dell’anno, dopo la conclusione delle attività di ricerca e sviluppo. Quando le industrie estrattive e di raffinazione saranno operative, la Turchia prevede di avere la capacità di lavorare 570.000 tonnellate di terre rare all’anno. Si tratta di quasi il doppio delle 315.000 tonnellate che saranno richieste a livello globale nel 2030.

Non è chiaro quali siano esattamente i materiali trovati in Turchia, ma più di un terzo delle terre rare ha applicazioni attuali o potenziali nel mondo dell’automobile, soprattutto nei veicoli elettrificati. La loro dubbia disponibilità a lungo termine, tuttavia, ha costretto colossi come Bmw e altri a non utilizzare i minerali di terre rare nei loro attuali veicoli elettrici. Ma una fornitura più stabile e meno dipendente dalla Cina potrebbe facilitare le cose.

Se Ankara si frega le mani per una scoperta che potrebbe aggiungere elementi favorevoli al suo ritorno al centro degli equilibri globali e occidentali, non sembra un caso che il Global Times, megafono in lingua cinese della propaganda del Partito comunista cinese, abbia già invitato a non vederla come una minaccia al dominio cinese.

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