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Putin e la Nato. Per l’Italia una sfida chiamata Sud

Di Armando Sanguini

All’indomani del summit di Madrid, l’Italia si ritrova in prima linea nel nuovo e più ampio fianco Sud della Nato. Dalla polveriera libica al Sahel che ribolle, tra ingerenze russe e infiltrazioni cinesi, una sfida per Roma. L’analisi dell’ambasciatore Armando Sanguini

È  ben noto che la storia non si fa con i “se”, ma non è men noto che una minima dose di attenzione ai rischi derivanti dalla mancata applicazione degli accordi di Minsk (2014/2015) avrebbero dovuto far scattare un campanello di allarme  e forse dare alla trista vicenda del Donbass un futuro diverso da quello della peraltro inaccettabile aggressione militare decisa e portata avanti da Putin.

Ma come si dice, cosa fatta capo ha e passare a moltiplicare davvero gli sforzi per rendere possibile una tregua quale premessa indispensabile di qualsivoglia negoziato e dunque di compromesso per la pace tra Russia e Ucraina. A meno che non si preferisca lasciare che il conflitto prosegua, con il tragico seguito di morti, sfollati e distruzioni, nell’ aspettativa della sconfitta della Russia e del conseguente ritiro delle sue truppe dal territorio ucraino.

Si tratta a mio giudizio di un’aspettativa discutibile perché molto costosa in termini sia umani che materiali per un Paese che ha già tanto sofferto, ma che sembra risultare preferibile da quanti vogliono privilegiare la soluzione militare anche se ricercata avendo cura di non superare la soglia del “diretto coinvolgimento”, cioè di co-belligeranza nella guerra stessa.

Da qui la scelta di fornire all’Ucraina aiuti in armi, in addestramento, in accoglienza dei profughi etc. ma a una ben calibrata distanza di sicurezza per evitare l’innesco di una vera e propria guerra globale. Insomma una difesa sostenuta dagli Usa, dall’Unione europea e dai suoi Stati membri in nome dei sacrosanti diritti di sovranità e integrità territoriale di quel paese brutalmente violati dalla Mosca di Putin ma portata avanti dagli ucraini.

Tra i principali interpreti e promotori di questa difesa “esterna” si è ben distinta la Nato, o per meglio dire, il suo segretario generale Jens Stoltenberg che non si è certo risparmiato in dichiarazioni e prese di posizione che non poteva non sapere essere urticanti alle orecchie del Cremlino, che da quasi 30 anni sollecita l’Alleanza atlantica a non ampliare la sua presenza militare a ridosso dei propri confini.

Debbo ritenere che abbia interpretato alla lettera l’orientamento dei Paesi membri dell’Organizzazione, che altrimenti lo avrebbero invitato al silenzio o comunque a maggiore moderazione, e abbia favorito in qualche modo il dichiarato ridimensionamento degli obiettivi militari di Putin all’area del Donbass di questi ultimi giorni, ma non sembra che quest’approccio abbia propiziato l’opzione di una tregua. Almeno finora, dopo oltre quattro mesi dall’inizio dell’invasione.

Nello stesso tempo la Nato ha celebrato il suo vertice di Madrid dal quale è affiorato un significativo elemento di novità che ci riguarda da vicino nella cornice del concetto strategico per i prossimi 10 anni. Mi riferisco all’aggiornamento della gerarchia delle cosiddette “attenzioni” dell’Organizzazione con un preciso riferimento al Medio Oriente, al Nord Africa e al Sahel dove la soglia della sicurezza è considerata a repentaglio a causa della politica espansiva della Russia in primis, ma anche della Cina con specifico con puntuale riguardo agli indotti fattori di destabilizzazione in atto in termini economico-sociali e alle conseguenti, potenziali derive quali ad esempio i flussi migratori e il terrorismo.

Per contrastare tutto ciò saranno tempestivamente avviati gruppi di lavoro per un’appropriata pianificazione dei correlati interventi operativi. Ma sono già stati decisi aiuti alla Mauritania e alla Tunisia ed è prevedibile pure un intervento in Mali così come è stata adombrata l’esigenza di un riavvicinamento a quei paesi, dall’Algeria all’Arabia saudita, dove le sirene russe e cinesi sono all’opera.

Questa presa di posizione è stata decisamente valorizzata dall’Italia che da tempo chiede un rafforzamento della Nato nel suo fianco sud per più efficacemente contrastare le minacce, lavorare per la sicurezza e la stabilizzazione e sostenere lo sviluppo, come ha dichiarato il nostro Ministro della difesa Guerini. E l’Italia può in effetti dare un significativo contributo in tale direzione soprattutto ora che il patto dell’Eliseo facilita la collaborazione tra Roma e Parigi, pur nella comprensibile competizione esistente tra i due Paesi; contributo in termini di conoscenza delle realtà politico-sociali di cui trattasi ma anche delle specifiche sensibilità di approccio di cui tenere debitamente conto nel delicato sviluppo di quest’ampliamento di attenzione dell’Alleanza. A cominciare dal suo maggiore azionista, cioè gli Stati Uniti e a finire con il successore dell’attuale Segretario generale.

Sarà in ogni caso imprescindibile assicurare un punto di raccordo-coordinamento a livello governativo per assicurare il massimo di coerenza ed efficacia all’azione dell’Italia in tale ambito geopolitico, del resto alquanto diversificato. Il caso della Libia in rivolta in queste ore ne può rappresentare un piccolo ma prezioso esempio e monito, per non parlare del Mali e più in generale della fascia occidentale del Sahel. E sarà necessario armarsi di tanta pazienza e costanza anche per evitare di essere trascinati in una logica di confronto di cui non si avverte alcun bisogno.

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