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Putin, unire i puntini. Cosa vuole (davvero) la Russia a Roma

Sì, nelle ambasciate, specie quelle russe, da sempre spie e feluche si danno il cambio. E sì, se in Russia contattassimo un partito di opposizione, succederebbe il finimondo. Ma nella polemica sul caso Salvini manca un dato di realtà. Il commento del prof. Giovanni Savino

I rapporti tra consiglieri e addetti d’ambasciata, personalità del mondo politico e del sottobosco del potere non sono una novità: la raccolta di informazioni su quel che si muove nel Paese dove si svolge il proprio incarico serve a orientarsi meglio sia come rappresentanza diplomatica sia come governo, e alla politica nazionale e ai funzionari scambi di vedute con rappresentanti stranieri sono utili per la stessa ragione. Vi sono però limiti ovvi, da non valicare, altrimenti si tratta d’altro. Non è nemmeno uno scandalo che vi siano rapporti, formali o informali, tra ambasciate e partiti d’opposizione, anche qui per la stessa ragione di cui sopra, e con le stesse limitazioni.

Immaginiamo però per un attimo che l’ambasciata italiana a Mosca paghi un viaggio aereo a Ilya Yashin, esponente dell’opposizione russa attualmente agli arresti, per recarsi a Roma, e proviamo a pensare alle reazioni da parte del ministero russo degli Esteri e del Cremlino. Oppure che il massimo rappresentante della Repubblica nella capitale russa organizzi un incontro con personalità dei partiti sia dell’opposizione parlamentare che non rappresentata alla Duma.

In quest’ultimo caso non c’è bisogno nemmeno di fare chissà quali sforzi d’immaginazione, perché l’allora ambasciatore statunitense in Russia Michael McFaul organizzò proprio una riunione con esponenti delle frazioni alla Duma (eccetto Russia Unita) e delle formazioni d’opposizione, tra cui Boris Nemtsov e Sergei Mitrokhin, nel gennaio del 2012.

Le reazioni delle autorità russe furono veementi, con accuse da parte dei media ufficiali di voler orchestrare una rivoluzione arancione nel Paese. E le mosse di McFaul vennero utilizzate dalla propaganda in ogni occasione possibile per stigmatizzare l’intervento straniero. Unico e vero ispiratore, secondo le reti di regime, di ogni forma di scontento e di contrarietà alla politica putiniana.

Da qualche anno vi è un’attenzione particolare, con tentativi di “partecipazione”, da parte dell’ambasciata russa alle vicende italiane. Attenzione però quasi assente all’interno della Russia, dove persino le posizioni dei vicini Paesi del Baltico godono di maggiore considerazione da parte della propaganda (e delle agenzie di sicurezza) rispetto a Roma, sia per ragioni storiche che strategiche.

L’Italia non è considerata come un attore decisivo nell’Unione europea, se non in subordine a Germania e Francia, e nemmeno un grosso pericolo. Probabilmente nell’attivismo della sede diplomatica di via Gaeta e dei suoi dintorni vi è anche un elemento, molto presente nella burocrazia russa di ogni ordine e grado, di farsi vedere come volenterosi esecutori e ottimi proponenti di nuove direttrici di lavoro.

Nel corso degli ultimi dieci anni abbiamo così visto i viaggi della Lega e di rappresentanti di organizzazioni d’estrema destra in Russia, missioni di “lavoro” promosse dalle associazioni della rete costruita da Lombardia-Russia, fino al tentativo salviniano di proporsi come possibile artefice di una pace non ben definita con Mosca, con tanto di interlocuzioni su cosa accadeva nel governo Draghi.

Attenzione però a non cadere in un errore: attribuire capacità al Cremlino che non ha. Un errore ormai comune in Occidente, la cui ultima, tragica, dimostrazione è nell’aver fornito alla propaganda l’idea del simbolo dell’aggressione all’Ucraina: la Z, da che serviva a indicare gli automezzi e i carri provenienti dal Distretto militare occidentale (Zapadnyj in russo), è diventata, per l’attenzione mediatica in Europa e negli Stati Uniti, un marchio registrato da Russia Today e l’emblema della distruzione delle città ucraine.

Lo stato di crisi permanente dello spazio politico italiano ormai è un dato della situazione generale del nostro Paese, e ha profonde radici nella cultura politica e nelle relazioni socioeconomiche nostrane. Attribuire la causa dei nostri mali esclusivamente ai tentativi d’influenza moscoviti, più simili ad azioni parecchio triviali di trolling (si veda il famoso meme di Medvedev), vuol dire regalare tanta pubblicità e importanza alla propaganda del Cremlino e al tempo stesso esonerare la classe dirigente italiana dalle proprie, gravi, responsabilità nel governo e nel (mancato) sviluppo del Paese.

Un rischio forse conveniente perché assolve dai propri peccati il personale politico, ma devastante perché permette al potere russo di mostrarsi ben più forte, influente e capace di incidere nelle scelte di una democrazia europea senza dover nemmeno far la fatica di dover stanziare altri fondi per le proprie campagne social e mediatiche.

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