Due grandi profili rimangono irrisolti per individuare una regolazione del Metaverso: l’identificazione delle persone che lo popolano e l’applicabilità di regole senza territorio. Il commento dell’avvocato Davide Maresca
Fin dalle prime piattaforme virtuali, si è assistito ad una sorta di duplicazione della realtà: da Facebook a Instagram, Twitter e tiktok per passare a quelle tematiche come Linkedin o agli e-commerce come Amazon, ebay e le piattaforme finanziarie o per la gestione delle criptovalute: ciascun luogo virtuale nasce dalla copia di un luogo reale.
La copia trasferisce un mondo che, però, si evolve autonomamente secondo logiche proprie e non più agganciate a quelle del “mondo originale”. Ecco allora che si origina il Metaverso: l’insieme di piattaforme che replica il mondo reale ma, attraverso una sua evoluzione indipendente, se ne discosta e diventa autonomo: relazioni sociali, professionali e finanziarie parallele.
Le conseguenti problematiche giuridiche sono evidenti: il Metaverso è completamente libero dalle regole? Come si fa a disciplinare qualcosa che non esiste?
Il problema giuridico va affrontato sotto diversi profili. Il primo, quello più facile, riguarda le conseguenze nel mondo reale di comportamenti tenuti nel Metaverso. Infatti, una buona parte del Metaverso ha ancora effetti nella vita reale. Ad esempio, si può fare riferimento alla diffamazione sui social network con effetti in una determinata comunità reale (es. una scuola), agli investimenti tramite piattaforme di intermediazione finanziaria, anche social (es E-toro) nonché alle informazioni al mercato attraverso Twitter (si pensi alle dichiarazioni di Elon Musk sulla volontà non eseguita di vendere azioni Tesla).
Se è vero che le intersezioni con il mondo reale, ossia gli effetti del Metaverso, sono soggetti alle leggi dello Stato (nella misura in cui esse sono applicabili) è altrettanto vero che la prima difficoltà è isolare l’ambito di applicazione soggettivo: in altre parole, le identità digitali non sono sempre e facilmente riferibili a identità reali. Inoltre, i comportamenti non sono nemmeno sempre riferibili a identità digitali ma talvolta solo ad algoritmi di intelligenza artificiale.
Pertanto, anche quando la fattispecie concreta e chiara si pone un problema evidente sotto il profilo soggettivo. Di qui l’uniformazione dell’identità digitale: il diritto europeo ha già iniziato la sua “partita”. L’evoluzione è cominciata con i certificati di firma per poi giungere al Regolamento “eidas”. Quest’ultimo consente a tutti i cittadini europei di ottenere una identità Digitale limitata, di fatto, ai servizi della pubblica amministrazione.
Il punto, però, è che non è sufficiente. Il tasso di penetrazione dell’identità digitale (25% effettivo) è molto basso. Il secondo profilo riguarda le fattispecie che si generano ed esauriscono nella realtà virtuale. Ad esempio, la partecipazione a giochi virtuali (videogame in rete o poker) con premi in valute elettroniche piuttosto che reati commessi online e non ben riferibili ad un contesto sociale diverso (es. offese o ingiurie generalizzate). La web reputation in senso stretto, quando anche sganciata da un contesto reale di riferimento, ormai necessita una tutela autonoma.
In questo caso i profili di incertezza raddoppiano: oltre alla difficile identificazione delle persone si aggiunge la difficile tutela di situazioni puramente virtuali alle quali manca quel requisito di “territorialità”, che fonda il potere di uno Stato di applicare le proprie leggi.
Non si può negare che lo sviluppo autonomo della realtà virtuale (anche grazie all’intelligenza artificiale, ma non solo) presuppone la necessità di dare dignità giuridica autonoma al Metaverso, come se l’ordinamento giuridico vi si potesse applicare, a prescindere dalla territorialità tipica delle norme tradizionali.
A ben vedere, questa problematica venne risolta già in passato da diversi istituti: il diritto uniforme o la lex mercatoria (per le compravendite tradizionalmente internazionali) e la teoria degli effetti nel diritto della concorrenza. Si tratta di istituti mutuabili nel Metaverso che, come il mercato, non ha uno Stato di riferimento?
Può sorgere in soccorso anche il diritto internazionale privato: se leghiamo la giurisdizione allo Stato che ospita il server che gestisce la maggior parte della piattaforma su cui viene posto in essere il comportamento? In altre parole, due grandi profili rimangono irrisolti per individuare una regolazione del Metaverso: l’identificazione delle persone che lo popolano e l’applicabilità di regole “senza territorio”. Due grandi profili di incertezza giuridica che pongono sulle autorità una grande responsabilità e la necessità di competenze tecniche particolarmente rare e interdisciplinari.