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Spazio, l’altro fianco della Nato. Una strategia

Di Lorenzo Bazzanti

Non ci sono solo il fianco Est e il fianco Sud della Nato, su cui l’Alleanza ha acceso i riflettori al summit di Madrid. Lo spazio è una delle frontiere più calde ed esposta a non pochi pericoli. L’analisi di Lorenzo Bazzanti, Geopolitica.info

Nei moderni scenari operativi, le risorse spaziali sono key enabler di operazioni più complesse e il loro uso è fondamentale quando si tratta di anticipare le minacce e rispondere alle crisi con rapidità, efficacia e precisione. I sistemi spaziali sono cruciali per comunicazione e intelligence, sorveglianza, navigazione, geolocalizzazione, situational awareness e capacità di identificare tempestivamente (early warning) minacce provenienti da attori ostili.

In altre parole, si può affermare che l’accesso libero e sicuro alle risorse spaziali sia una delle condizioni essenziali per la conduzione delle operazioni Nato negli altri domini operativi. Venendo meno tale condizione, e cioè senza la mole di informazioni fornite dai satelliti, o le capacità da essi abilitate, lo «spazio di manovra» dell’Alleanza nelle attività che su di esse fanno affidamento sarebbe impossibile da mantenere: a risentirne, infatti, sarebbe la stessa superiorità tecnologica e militare degli alleati in ogni contesto bellico.

Lo spazio è quindi un punto di forza dell’alleanza, ma anche fonte di preoccupanti vulnerabilità. Data l’elevata dipendenza delle operazioni marittime, aeree e terrestri Nato dalle risorse spaziali, potenziali avversari potrebbero adattarsi e minacciare direttamente queste risorse in contesti di guerra ibrida o asimmetrica, piuttosto che investire ingenti quantità di denaro nel tentativo di pareggiare le forze sul piano convenzionale. In tal senso, non devono stupire i crescenti sforzi di Russia e Cina nel dotarsi di capacità “contro-spaziali”, siano essi sistemi progettati per distruggere o mettere temporaneamente fuori uso satelliti strategici o tentativi di controbilanciare la superiorità tecnico-militare degli Stati Uniti e della Nato.

L’approccio della Nato allo spazio

Nel 2018 i leader Nato  prendono atto del rapido processo di evoluzione che sta interessando l’ambiente spaziale – sia dal punto di vista economico che da quello militare – e della sua conseguente essenzialità per la sicurezza dell’Alleanza. Il grado di dipendenza degli Alleati nei confronti dei sistemi spaziali – dovuto ai vantaggi che questi ultimi offrono nei conflitti – unitamente alla possibilità che le capacità spaziali diventino bersagli prioritari per eventuali forze ostili, palesa la necessità per la compagine atlantica di estendere il proprio raggio d’azione operativo allo spazio extra-atmosferico, rendendosi in grado di operare in un ambiente nel quale la superiorità tecnologica degli Alleati viene messa in discussione. È nel giugno 2019 che vengono fatti i primi passi sostanziali in questa direzione.

A Bruxelles, i ministri della Difesa degli Stati alleati adottano la prima Nato Space Policy. L’approccio dell’Organizzazione allo spazio si fonda su quattro key roles: tenere in considerazione lo spazio nell’adempimento dei compiti fondamentali dell’Alleanza; fungere da forum per consultazioni e scambio di informazioni relative allo spazio nel contesto della difesa e della sicurezza; garantire supporto spaziale alle proprie attività; facilitare interoperabilità e compatibilità tra i sistemi spaziali degli Alleati.

L’adozione della Space Policy – i cui principi sono stati ribaditi anche in un più recente documento, pubblicato nel gennaio 2022, intitolato Nato’s overarching Space Policy –è seguita nel giro di pochi mesi dal riconoscimento ufficiale, da parte dei Capi di Stato e di Governo degli Stati membri riuniti a Londra, dello spazio quale quinto dominio operativo dell’Alleanza (dopo terra, mare, aria e cyber).

È importante tenere in considerazione quale sia il ruolo che la Nato concepisce per sé stessa nell’ambiente spaziale. L’Alleanza rinuncia di fatto a possedere assets propri, facendo affidamento sulle capacità messe volontariamente in campo dagli Stati membri, e si propone come «collante» di tali capacità. La Nato vuole agire, quindi, come moltiplicatore di forze dei propri alleati nel settore spaziale, facendosi carico delle difficoltà che questo compito comporta, in un settore che di per sé mal si presta a scambi tecnologici, incluso tra paesi alleati.

Gettate le basi per il nuovo approccio dell’Alleanza allo spazio, alla Nato non resta che tradurre in pratica le linee guida e i principi definiti nella propria strategia per il dominio spaziale. È così che, nell’ottobre 2020, i ministri della Difesa alleati si accordano sulla creazione del Nato Space Centre, con sede presso la base aerea di Ramstein, in Germania. Scopo dello Space Centre è quello di offrire supporto alle attività dell’Alleanza, aumentando la consapevolezza di ciò che accade nello spazio (ma anche sulla Terra, grazie ai satelliti destinati all’Osservazione Terrestre) attraverso la coordinazione di informazioni, prodotti e servizi spaziali messi in campo dagli Alleati. Si tratta, cioè, di razionalizzare il rapporto tra l’Organizzazione e i singoli Stati, favorire la condivisione di informazioni e coordinare gli sforzi degli Alleati per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse spaziali, rendendolo più agevole e, soprattutto, più efficace.

Degna di nota è anche la scelta di creare un Centro di Eccellenza (CoE) dedicato interamente allo spazio, con sede a nella città francese di Tolosa, con lo scopo di formare specialisti, assistere allo sviluppo di una dottrina spaziale, migliorare capacità e interoperabilità all’interno dell’Alleanza. La scelta della sede è altrettanto significativa.

Tolosa è infatti il centro dell’ecosistema spaziale francese: ospita le principali realtà del Paese operanti nel settore spaziale, siano esse civili o militari – come nel caso del Commandement de l’Espace il ramo dell’Aeronautica Militare francese che si occupa di spazio. La Francia, Stato estremamente attivo nel dominio spaziale, sia sul piano militare che industriale, e main contributordell’Agenzia Spaziale Europea (seguita da Germania e Italia), vede quindi ulteriormente confermata la propria leadership tra le potenze spaziali europee anche all’interno della NATO.

Il processo di definizione dell’approccio dell’Alleanza allo spazio prosegue al summit di Bruxelles del giugno 2021. Ribadendo l’importanza dello spazio per la sicurezza e per la prosperità delle nazioni, i leader alleati hanno affermato che “attacchi verso, dallo o tramite lo spazio rappresentano una chiara sfida alla sicurezza dell’Alleanza, il cui impatto potrebbe minacciare prosperità, sicurezza e stabilità nazionale ed Euro-Atlantica, e potrebbe essere dannosa per le società moderne quanto un attacco convenzionale”.

Conseguenza di ciò è la possibilità di invocare l’articolo 5 del Trattato di Washington, secondo una valutazione caso per caso da parte del Consiglio Atlantico. Chiara mossa, questa, diretta a potenziare le capacità di deterrenza della NATO, disincentivando potenziali azioni ostili nei confronti delle risorse spaziali degli stati membri.

La guerra nello spazio?

Nell’ultimo decennio, lo sviluppo di nuove tecnologie ha portato a un abbassamento dei costi nella manifattura dei satelliti e nel campo dei lanciatori, aprendo la strada a nuove possibilità tecnologiche ed economiche, oltre all’emergere di una mole considerevole di nuovi attori. La maggior parte delle capacità spaziali sono “dual-use”, utilizzabili sia per scopi civili/commerciali, sia per scopi militari, talvolta contemporaneamente.

In un ambiente extra-atmosferico segnato dal processo di militarizzazione portato avanti da alcune potenze spaziali (anche alleate), la Nato rinuncia – come già accennato – a possedere assetti di sua proprietà e si impegna a “proteggere e preservare l’accesso pacifico e l’esplorazione dello spazio per tutta l’umanità” (Nato’s approach to space). L’Alleanza riconosce, tuttavia, la necessità di difendere gli assetti spaziali dei propri alleati e disincentivare possibili attacchi nei loro confronti. È proprio nel contesto della già citata militarizzazione dello spazio che alcuni Stati – Russia e Cina in primis – stanno sviluppando, testando e rendendo operative sofisticate tecnologie contro-spaziali che potrebbero minacciare l’accesso e la libertà di operare nello spazio da parte degli alleati.

Si parla di una vasta gamma di capacità volte ad interrompere, degradare, ingannare, negare o distruggere strumenti e servizi da cui gli alleati dipendono, che siano space-based (satelliti) o ground-based (stazioni e piattaforme di lancio). Le minacce antisatellite (ASAT) sono piuttosto varie sia per modalità di esecuzione che per effetti prodotti, spaziando dai comuni attacchi elettronici e cibernetici dagli effetti reversibili – come il jamming dei flussi di dati in entrata e in uscita dai satelliti – fino ad arrivare a sistemi cinetici i cui effetti sono irreversibili. In questa categoria rientrano i missili ASAT ad ascesa diretta, in grado di distruggere bersagli in orbita. Essi sono particolarmente controversi, poiché alimentano il problema dei detriti spaziali (space debris).

Frammenti di satelliti distrutti, come quelli generati dai quattro test ASAT effettuati a partire dal 2007 (ad opera di Cina, Stati Uniti, India e più recentemente Russia) possono rimanere in orbita per anni, sono nel maggior numero dei casi non-tracciabili a causa delle loro dimensioni ridotte e rischiano di distruggere o danneggiare seriamente qualsiasi altro asset orbitante, chiunque ne sia il proprietario, incluse le due stazioni spaziali attualmente abitate da esseri umani (ISS e Stazione Spaziale Cinese), che anche recentemente si sono ritrovate a dover effettuare manovre correttive della propria traiettoria per minimizzare il rischio di impatto con detriti fluttuanti alla velocità di circa 36.000 km/h.

Per quanto l’impiego di capacità spaziali negli scenari bellici odierni sia una realtà, è difficile immaginare – anche nel medio-lungo periodo – il verificarsi di una possibile guerra nello spazio, almeno nel significato più ingenuamente hollywoodiano ad essa attribuito. Eliminate “velleità fantascientifiche” dalle analisi sulla militarizzazione dello spazio, tuttavia, ciò che rimane è un problema che non va sottovalutato, poiché difficilmente destinato a indebolirsi, date le crescenti tensioni tra potenze dotate di capacità spaziali avanzate.

Per di più, quando si parla di sicurezza delle capacità spaziali, la posta in gioco non si riduce alla mera riuscita di una qualche operazione militare terrestre, ma include anche – per la loro natura duale – l’intero ventaglio di applicazioni pacifiche delle apparecchiature che orbitano intorno alla Terra.

 

L’articolo è parte dello speciale sull’Alleanza Atlantica “Prossima fermata: #NATO2030”, curato da Danilo Mattera per Geopolitica.info


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