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La competizione russa per il controllo del Sahel e del continente africano

Di Daniele Curci

L’Africa è al centro delle attenzioni di Europa e Stati Uniti, da un lato, Russia e Cina dall’altro. Ecco cosa gira intorno al viaggio del Segretario di Stato americano Blinken

L’Africa sembra essere tornata agli onori della cronaca e delle analisi: recentemente il viaggio del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in Egitto, Uganda, Etiopia e Repubblica del Congo; oggi e fino all’11 agosto la visita del Segretario di Stato americano Antony Blinken. Ad onore del vero il continente africano non aveva mai cessato di essere al centro delle attenzioni di Europa e Stati Uniti, da un lato, Russia e Cina dall’altro – Pechino e Mosca, peraltro, in Africa perseguono interessi non così convergenti come ci si potrebbe aspettare. Una partita in cui, però, i governi africani vogliono avere un ruolo da protagonisti.

Antony Blinken si era già recato in Africa lo scorso novembre, quando aveva visitato Kenya, Senegal e Nigeria nel tentativo di consolidare le relazioni con alcuni Stati africani e, soprattutto, di ripristinare il rapporto di fiducia eroso dall’amministrazione Trump. Le decisioni dell’ex presidente di ritirarsi da alcune importanti iniziative, come l’accordo di Parigi e il Green Climate Fund, avevano infatti irritato diverse capitali, come quella del Sud Africa da dove, infatti, la visita del Segretario di Stato prende avvio. Pretoria, peraltro, sarebbe un alleato statunitense, ma le pressioni russe e il lascito della presidenza Trump hanno fatto sì che non solo il Sud Africa sia stato tra i Paesi africani che si sono astenuti dal votare la risoluzione Onu di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, ma che il suo presidente Cyril Ramaphosa si rifiuti tutt’ora di condannare la decisione del Cremlino.

In Sud Africa Blinken presenterà la US Strategy for Sub-Sahran Africa che prevede il rafforzamento dei legami con i Paesi africani attraverso una cooperazione più forte in materia di salute, incremento dei commerci e degli investimenti sull’energia e sulla sicurezza alimentare. Obiettivo complessivo della strategia è contrastare l’espansionismo di Cina e Russia in Africa. La strategia e il viaggio di Blinken prendono avvio dal Countering Malign Russian Activities in Africa Act, recentemente approvato dal Congresso. È interessante notare che alla base della rinnovata attenzione statunitense per l’Africa vi è quindi la precisa volontà di “counter the malign influence and activities of the Russian Federation and its proxies in Africa, and for other purpose”. Anche perché dal 2019 ad oggi Mosca ha siglato più di venti accordi di cooperazione con diversi Paesi africani e ha investito ingenti risorse nella propaganda e nella diffusione di false notizie ai danni degli occidentali.

La presenza russa in Africa, si diceva, non è cosa recente. È sufficiente guardare al Mali per rendersene conto. Il Paese è un ex colonia francese che, dopo l’indipendenza negli anni Sessanta, è entrato nell’orbita di influenza sovietica. Poco dopo il crollo dell’Urss, nel 1994, Mosca ha siglato con Bamako il primo accordo di cooperazione per la difesa. Il secondo è stato firmato nel 2019. Tra questo anno ed il 2020 si sono verificati due colpi di Stato. L’ultimo ha portato una giunta militare vicina alla Russia al potere, dando così luogo a un braccio di ferro con Parigi e diversi Paesi europei, Italia compresa. La Francia era presente in Mali dal 2013, quando Bamako richiese l’intervento delle truppe francesi per contrastare la presenza dei gruppi jihadisti presenti nel nord del Paese. Nel 2014, per far fronte alla natura transfrontaliera del jihadismo, nacque l’Operazione Barkhane. Tra gli obiettivi dell’operazione era anche la stabilizzazione del Sahel, una regione fondamentale per il controllo dei flussi migratori. Macron decise la chiusura di Barkhane mentre prendeva avvio l’operazione Takuba, che coinvolge diversi Paesi europei, tra cui anche l’Italia, nella primavera del 2021. Entrambe le missioni si sono dovute scontrare con l’ostilità della giunta golpista, sempre più vicina a Mosca che ha inviato aiuti militari e un contingente del gruppo Wagner per stabilizzare il Paese, sostituendo le truppe europee.

Il Mali è molto utile per comprendere la centralità dell’Africa rispetto agli attriti tra Europa e Stati Uniti, da un lato, Russia e Cina dall’altro, ma anche per inquadrare in una prospettiva più ampia la guerra in Ucraina e la visita di Blinken.

In Mali si è giocato un braccio di ferro volto ad ottenere un’influenza parziale sul Sahel. Il controllo di questa regione si, diceva, consente di esercitare un’influenza sui flussi migratori e di contrastare il jihadismo. Non dimentichiamoci che il Sahel è stato proclamato la “settima provincia dello Stato islamico in Africa” e che dall’inizio dell’anno lo Stato islamico ha condotto metà dei suoi attacchi in Africa, rivendicando per la prima volta la maggioranza delle sue operazioni non più in Medio Oriente, ma nel continente africano che è considerato la nuova frontiera dello jihadismo globale. Essendo il Sahel una “cerniera” tra Africa del Nord e subsahariana, una sua stabilizzazione (o un suo controllo) è fondamentale nelle strategie che si rivolgono al continente africano, ma anche per ottenere uno strumento di pressione nei confronti dell’Unione Europea. Si tratta, nel Sahel, di Stati sensibili alle destabilizzazioni ed in cui il blocco delle esportazioni di grano e di mais dai porti ucraini potrebbe portare a delle carestie. La strategia del Cremlino, consapevole dell’influenza che esercita sulla Libia, guarda quindi alla possibilità di usare la sua presenza in Africa e la crisi alimentare per generare instabilità e aumentare i flussi migratori. Mosca otterrebbe così non solo uno strumento di pressione nei confronti dell’Europa, ma potrebbe anche fornire argomenti a quei partiti che sono storicamente vicini al Cremlino.

Dell’importanza del Sahel sono consapevoli anche le cancellerie europee. Per quel che concerne l’Italia, il rafforzamento della presenza in Africa e il contributo alla stabilizzazione dello Sahel vengono riconosciuti come aree di intervento prioritarie perlomeno dalla pubblicazione del Libro bianco del 2015, data a partire dalla quale la presenza italiana nel cosiddetto “Mediterraneo allargato” è cresciuta considerevolmente con l’apertura delle ambasciate in Niger (2017), Guinea (2018), Burkina Faso (2018), e con la presenza militare in Libia, Niger, Somalia, Golfo di Guinea e Burkina Faso.

La recente visita del presidente francese Emmanuel Macron in Camerun, Benin e Guinea-Bissau aveva anch’essa l’intento di rafforzare i legami dell’Occidente con i Paesi africani al fine di creare un cordone di sicurezza rispetto all’avanzata russa nel continente. In particolare, Macron sembra essersi preoccupato del Camerun che dovrà a breve affrontare una difficile transizione presidenziale dopo che per decenni Paul Biya si era mantenuto al potere. La transizione, infatti, non è detto che sia pacifica e che la stabilità nello Stato africano permanga. Il Camerun, inoltre, ha firmato ad aprile un accordo per la cooperazione per la difesa con la Russia.

In Africa si gioca anche una partita in cui centrali sono le narrazioni. Gli Stati Uniti devono ripristinare la fiducia nei confronti dei paesi africani e convincerli a non cedere alle pressioni di Mosca. La Francia e l’Europa devono porsi come alleati commerciali e militari credibili, ma l’azione disordinata e poco coordinata delle cancellerie europee non è detto che porti a buoni risultati. Mentre Parigi deve fare i conti con l’insofferenza crescente che molti africani provano nei suoi confronti, in parte per il retaggio coloniale che il Cremlino sfrutta per alimentare un’immagine di potenza non coloniale “coerentemente” con il passato sovietico. È questo uno degli obiettivi delle visite di Lavrov, assieme all’esposizione di una narrazione che cerca di addossare le responsabilità della crisi alimentare a Kiev e all’Occidente.

I Paesi africani si muovono con pragmatismo. L’Unione Africana, ad esempio, sta cercando di mantenersi equidistante rispetto al coinvolgimento diplomatico nella guerra in Ucraina. Macky Sall, presidente del Senegal che ha recentemente perso la maggioranza in parlamento e cui spetta la presidenza di turno dell’Unione, si era recato a giugno in visita a Mosca e ha recentemente accettato l’invito di Zelensky a Kiev. L’atteggiamento dell’Unione Africana sembra essere stato recepito dall’amministrazione Biden che ha deciso di puntare con la visita di Blinken sulla cooperazione economica e politica con i paesi africani.

 

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