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Le agenzie di rating e lo scarso potere della politica

In concomitanza delle elezioni e della formazione del nuovo governo arriveranno gli outlooks delle agenzie di rating. Ma nel frattempo l’economista austriaco Bayer apre una riflessione mettendo sotto accusa la politica che dovrebbe controllare e indirizzare il settore finanziario. Il commento di Giuseppe Pennisi

Il 5 agosto l’agenzia di rating Moody’s ha leggermente mutato l’indicatore sull’Italia: o meglio il rating è rimasto Baa3, solo un gradino sopra al livello “spazzatura” per i nostri titoli di Stato ma l”outlook” (ossia le prospettive) passano da “stabili” a “negative”). Pochi giorni prima, “ritocchi” analoghi erano stati fatti agenzie di rating, e c’è stato un aumento dei tassi di interesse, solo la stampa finanziaria pare essersi accorta di modifiche piccole ma significative. D’altronde, una crisi politica e strane acrobazie per tentare di formare alleanze di vario tipo (da politiche a meramente elettorali) in un Paese con un elevatissimo debito pubblico non può non impensierire i mercati finanziari.

Per una coincidenza di calendari, le principali agenzie di rating esprimeranno il loro giudizio sull’Italia più o meno nelle stesse settimane tra la fine di settembre e gli ultimi giorni di novembre; quindi, tra i giorni in cui saranno resi noti i risultati delle elezioni e quelli sia della formazione del prossimo governo sia dell’impostazione della manovra di economia e finanza. Sarà difficile evitare una lettura “politica” degli indici; Moody’s il 30 settembre, S&Poor il 21 ottobre, DBRS il 26 ottobre, Fitch il 18 novembre. Se gli outlooks saranno negativi, verranno letti come un giudizio pesante nei confronti di chi ha vinto le elezioni e causeranno un immediato aumento del costo del debito. Se saranno “positivi” verranno interpretati come una combutta della finanza internazionale con il nuovo esecutivo. Occorrerà studiarli con la massima cura.

Questo episodio mostra con chiarezza come “la politica” sia debole di fronte alla finanza internazionale.

Un economista austriaco, Kurt Bayer, mio ex compagno di studi in università americane e che nella sua carriera è stato ai vertici di uno dei principali istituti internazionali di ricerca quantitativa e successivamente direttore generale del Tesoro austriaco e successivamente direttore esecutivo prima alla Banca mondiale e poi alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ha di recente scritto un’interessante nota su questo tema.

L’enorme volume del settore finanziario, che dal Big Bang degli anni Ottanta – sottolinea Bayer – si è moltiplicato e ha portato avanti una gamma di prodotti finanziari sempre più complessi con profili di rischio opachi, ha anche invertito il tradizionale “equilibrio di potere” tra il settore finanziario e quello reale . Mentre tradizionalmente il settore reale cercherebbe i servizi del settore per finanziare i propri investimenti e le spese correnti, oggi il settore finanziario detta i termini della finanza, sforna più volte ogni attività di finanziamento, in un modo che oggi noi vediamo una piramide inversa, in cui la punta inferiore è l’effettiva attività reale da finanziare, al di sopra della quale si verificano sempre più attività di slicing, strutturazione e negoziazione, ciascuna generando commissioni e “rischi di trasferimento”.

Questa piramide è intrinsecamente instabile, come mostra chiaramente il numero di crisi finanziarie che abbiamo vissuto negli ultimi decenni. L’economia reale è diventata la “servitrice” del settore finanziario, invece del contrario.

Ciò ha influito – mette in rilievo – anche sulla politica economica. Passo dopo passo, i decisori politici considerano gli interessi (profitti) degli attori del settore finanziario come il loro obiettivo politico primario, le banche nazionali, che guidavano i mercati finanziari, sono diventate il loro agente vicario, mirando a soddisfare ciò che è già stato apprezzato dai mercati.

Le nostre economie finanziarizzate – conclude – sono altamente instabili. Ingenti somme di denaro si riversano in tutto il mondo, lasciando Paesi e aziende alla minima indicazione di un problema). Hanno portato l’economia mondiale quasi a un punto morto circa 10 anni fa, con la crisi del 2008-2009 e le grida di “mai più” abbondavano; ma, molto poco, se non qualcosa, è cambiato, a parte l’inasprimento di una serie di normative relative al rischio. La prossima crisi è dietro l’angolo, la necessità di rimpicciolire le attività più perniciose del settore finanziario (es. speculazione, trading, criptovalute, nascondimento del rischio) cresce ogni giorno.

Bayer mette sotto accusa la politica che dovrebbe controllare e indirizzare il settore finanziario.

Quasi nessuno nei media o nel potere politico pensa al “cambiamento di sistema”, per rimandare il settore finanziario al suo posto, un servizio necessario al settore reale per il suo buon funzionamento. Ma si può fare. Non con la rivoluzione, ma con passi sempre più piccoli che limitano lo scambio illimitato di attività (ad es. sostituendo il trading continuo con 2-3 aste al giorno), limitano la speculazione e i volumi addebitando tasse sulle transazioni finanziarie, invertendo l’onere della prova positiva, rilevanza sociale quando vengono introdotti nuovi strumenti finanziari, riducendo o eliminando i vantaggi fiscali per il finanziamento esterno, e altri ancora. Vale la pena rifletterci.

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