È in Vaticano che il grande gioco si è sempre fatto più complesso e appetibile. Per tutti ma soprattutto per Mosca che l’ha sempre visto come un contropotere all’imperialismo occidentale
Le parole pronunciate da papa Francesco sull’uccisione di Daria Dugina sono molto gravi. E sono andate ben oltre il rispetto umano e cristiano dovuto a chi è morto di morte violenta.
Dugina non era come le decine di bambini ucraini orfani portati in udienza dal Papa mercoledì scorso dalla Caritas italiana, ospitati in gran parte in istituti, privati in patria e qui della possibilità di vivere in una famiglia. Loro sì, vittime innocenti della guerra. Dugina era invece un’adulta che consapevolmente ha partecipato a una campagna pensata da suo padre, Alexander Dugin, di penetrazione nelle democrazie europee e di appoggio alla cosiddetta “operazione militare speciale”, cioè alla guerra, non provocata e assolutamente illegittima dal punto di vista del diritto internazionale contro l’indipendenza e la integrità di un Paese sovrano, l’Ucraina. Tanto che il suo libro che sta per essere pubblicato ha un titolo inequivocabile: “Z”. Cioè l’operazione Zapad, che ha reso orfani proprio quei bambini che sedevano mercoledì scorso davanti a Papa nell’Aula Nervi.
Parole gravi e ingiustificabili quelle di Francesco – che non riguardano certo l’infallibilità del suo magistero in materia di fede cattolica e come tali possono e debbono essere criticate, mentre sono insorti a difesa siti di informazione, account Twitter, eccetera che normalmente lo criticano aspramente, ben orientati in generale a favore di Mosca.
Dato che la biografia di Dugina, un personaggio pubblico, è nota (basta farsi un giro su Internet) allora la domanda che bisogna farsi è se Francesco ha sbagliato da solo oppure chi ha informato il Pontefice in modo così fuorviante da indurlo a un’errore di valutazione grossolano e rischioso visto che c’è una “pazza” guerra in corso, proprio nel cuore dell’Europa. Ma dichiarazioni che segnano un’indubbio assist per il Cremlino e hanno indotto la reazione di Kiev.
Le parole di Francesco su Dugina fanno tornare in mente un grosso incidente in cui incappò Benedetto XVI che tolse la scomunica al vescovo lefebriano Richard Williamson che pure in un’intervista televisiva aveva negato la Shoah. Benedetto XVI ha sostenuto pubblicamente che non lo sapeva, perché nessuno aveva cercato nel web le dichiarazioni di Williamson, fortemente sponsorizzato da un vescovo della stretta cerchia ratzingeriana. Allora esplose un grosso scandalo.
Le affermazioni di Francesco invece sono state “depotenziate” in particolare sui quotidiani e sulle edizioni principali dei telegiornali da un intervento massiccio degli spin doctor di qua e di là del Tevere. Ma il “chetare e sopire” di manzoniana memoria, può rivelarsi un anestetico che impedendo il dolore impedisce di diagnosticare il male.
Il Papa ha commesso un errore da matita blu ma questo non ha spinto il Patriarca di Mosca Kirill a tornare sui suoi passi e accettare l’incontro (“a margine”) con Francesco a metà settembre in Kazakistan. La diplomazia vaticana, dopo essersi affidata persino a Matteo Salvini per l’improbabile viaggio a Mosca pagato dall’ambasciata russa, nel maggio scorso, mostra segni evidenti di difficoltà a “maneggiare” la crisi innescata dalla guerra, che comporterà in autunno e inverno una crisi politica, economica e sociale di scala continentale. Non basterà allora rifugiarsi in un auspicato invito a Francesco in Corea del Nord.
Va richiamato un tragico precedente storico. Quello di Benedetto XV, il Papa che durante il primo conflitto mondiale continuava ripetere appelli contro “l’inutile strage”, ma che aveva vicino a sé, quello che allora si chiamava un “cameriere segreto”, monsignor Rudolph Gerlach che il controspionaggio italiano smascherò essere il più importante agente tedesco nel nostro Paese durante il primo conflitto mondiale, poi condannato a morte in contumacia, e che grazie alla sua posizione vicino al Papa di allora riuscì per anni a rubare segreti militari italiani che portarono a migliaia di vittime.
Dal secondo dopoguerra l’Italia è sempre stata per tre quarti “occidentale” e un quarto “orientale”. Siamo il Paese con la più alta rappresentanza diplomatica russa (che copre in parte un numero altissimo di spie). Ma è in Vaticano che il grande gioco si è sempre fatto più complesso e appetibile. Per tutti ma soprattutto per Mosca che ha sempre visto Oltretevere come un contropotere all’imperialismo occidentale. Intanto, del viaggio di Francesco a Kiev non si parla più.