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Davvero Gorbaciov ha vinto? Il commento del prof. Savino

Fornire un bilancio della figura del primo e ultimo presidente dell’Urss è difficile. Forse per lui vale quel che l’artista Neizvestnyj espresse nel monumento funebre a Krusciov, con il marmo bianco che si alterna al nero, raffigurazione della complessità di una figura anch’essa speciale per la storia sovietica

La morte di Michail Gorbaciov avviene a poco più di trent’anni dalla fine dell’Urss e nell’anno del centenario della sua fondazione, mentre imperversa la guerra in Ucraina e alcuni conflitti scoppiati a metà anni Ottanta durante la perestroika o continuano (si veda il Nagorno-Karabakh) o sono sotto traccia. Colpa di Gorbaciov?

Il periodo apertosi con l’ascesa del funzionario proveniente dalla regione di Stavropol’, nel Caucaso, dove era stato primo segretario del Partito comunista dal 1966 al 1978, provava a rispondere alla crisi apertasi in Unione Sovietica negli ultimi anni di Leonid Breznev, e acuitasi durante i due anni e mezzo in cui si erano alternati ai vertici Jurij Andropov e Konstantin Cernenko. Gorbaciov già a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, poco prima di diventare segretario regionale, era considerato come uno dei quadri di prospettiva da parte di Mosca, e nel corso del decennio successivo la sua candidatura a varie posizioni (tra cui vice di Andropov al KGB) venne presa in considerazione più volte. A decidere il suo trasferimento nella capitale in veste di uno dei segretari del Comitato centrale furono i buoni risultati ottenuti nello sviluppo dell’agricoltura nella propria regione d’origine, settore a cui Gorbaciov era legato per provenienza familiare: i nonni, Andrej Gorbaciov e Pantelej Gopkalo, erano stati contadini e vittime delle repressioni degli anni Trenta (Andrej nel 1934 venne condannato all’esilio nella regione di Irkutsk per poi essere liberato due anni dopo, Pantelej venne arrestato nel 1937 ma liberato 14 mesi dopo), e lui stesso aveva lavorato per anni nel kolchoz, e nel 1949, a 18 anni, era stato insignito dell’Ordine della Bandiera rossa del lavoro assieme al padre per aver superato le norme del raccolto nella propria regione. Un’onorificenza che gli aprì le porte dell’Università statale di Mosca, dove si laureò in giurisprudenza nel 1955, e del partito, a cui venne ammesso tre anni prima.

Un cursus honorum di rispetto, di un funzionario formatosi non negli anni della Guerra civile, del Terrore o della guerra mondiale, il che rappresentava una novità ai vertici dell’Urss: Gorbaciov rappresentava una nuova generazione, e alla sua nomina a segretario del Comitato centrale, a 47 anni, era il più giovane dei funzionari promossi da Breznev. La successione al Cremlino avviene nel 1985, dopo la morte di Cernenko, e si caratterizza per una serie di iniziative volte a risollevare le sorti dell’Unione Sovietica, superpotenza globale nel pieno della corsa agli armamenti e impegnata in una serie di fronti, direttamente e indirettamente, in varie parti. Infatti, oltre all’intervento in Afghanistan, vi erano militari e consiglieri sovietici in Angola e in Mozambico, Mosca sosteneva anche economicamente una serie di lotte di liberazione nazionale in vari continenti, e si trovava a dover affrontare le contraddizioni presenti nei paesi del Patto di Varsavia, dove la crisi polacca del 1980-1981, con l’ascesa del sindacato cattolico di Solidarnosc, aveva messo a dura prova gli equilibri in quel paese e portato alla proclamazione della legge marziale. L’economia sovietica era in enorme difficoltà, e la società attraversava un momento di profonda demoralizzazione, processi di difficile risoluzione a cui già Andropov aveva provato a rispondere con il ricorso a una disciplina imposta dall’alto che non era stata però in grado di produrre risultati. Gorbaciov lanciò la uskorenie (accelerazione), campagna volta ad aumentare i ritmi e i livelli della produzione, con un relativo successo, e una serie di misure dirette a sconfiggere la piaga dell’alcolismo, considerata non a torto uno dei problemi sociali dirompenti della società sovietica. La campagna contro l’alcolismo racchiude, in un certo senso, i limiti e le possibilità della modalità gorbacioviana di governo: l’innalzamento dei prezzi delle bevande alcoliche, la distruzione di vigneti storici in Moldavia e nel Caucaso, la scomparsa dello zucchero nei già scarni scaffali dei negozi, testimoniano il cipiglio volontaristico del leader sovietico, soprannominato dalla gente come il “segretario minerale”, per il suo ricorso all’acqua frizzante nei banchetti ufficiali.

A cambiare il corso degli eventi in Urss è la perestroika: letteralmente “riorganizzazione”, Gorbaciov ne evidenzia la necessità prima in una riunione con gli attivisti di partito a Leningrado nel maggio del 1985 e poi davanti agli operai della VAZ di Togliattigrad quasi un anno dopo, nell’aprile del 1986. Insieme di misure volto a democratizzare e a ricondurre a una proclamata purezza leniniana l’assetto sovietico, la perestroika apre la strada a circoli e associazioni di ogni tipo d’orientamento, e consente l’emergere di nuovi protagonisti sulla scena politica, autonomamente dai canali di partito. Si pensi a Boris Eltsin, portato dall’allora Sverdlovsk a Mosca come primo segretario del Pcus della capitale e poi trovatosi emarginato, che riesce a costruire la sua popolarità indipendentemente dai voleri dei vertici. Gorbaciov diventa estremamente popolare in Occidente, dove gli viene affibbiato il soprannome di Gorby, la moglie Raissa è una presenza fissa nei viaggi del segretario, ma a questo si accompagnano i primi conflitti nelle repubbliche sovietiche: oltre al già citato Nagorno-Karabakh, l’esercito interviene nel 1990 a Baku in conseguenza del violento pogrom antiarmeno e delle agitazioni condotte dal Fronte popolare dell’Azerbaigian, un anno prima vi erano state violenze in Georgia, per poi nel corso del 1991 vedere gli interventi a Vilnius e a Riga. La (trasparenza) era rivendicata come parte fondamentale della perestroika, ma nel caso dell’incidente di Chernobyl i tentennamenti nel riconoscere la catastrofe portarono a consentire lo svolgimento delle tradizionali manifestazioni del Primo Maggio a Kiev, a Minsk e in altre città ucraine e bielorusse “per non diffondere il panico”.

Anche la riforma dell’assetto istituzionale sovietico segue la scia di iniziative, ripensamenti e indecisioni, ma permette la convocazione nel 1989 del Primo congresso dei deputati del popolo dell’Urss, le cui sessioni in diretta televisiva vennero seguite da milioni di persone, e stimolarono ulteriormente i dibattiti nella società, con le prime elezioni dirette tra “piattaforme” diverse. L’incertezza però di quale strada prendere, e di quale assetto adottare, contribuirono, assieme alla dissoluzione delle repubbliche popolari nell’Est europeo e alla caduta del muro di Berlino, a creare le condizioni anche per una reazione, anch’essa confusa, culminata nel putsch dell’agosto del 1991, che vide Gorbaciov rinchiuso assieme alla famiglia nella dacia di Foros in Crimea. Un evento che segna la caduta di Gorby, perché isolato da Mosca, dove Eltsin, in cima a un carro armato, arringava la folla agitando quel tricolore prerivoluzionario diventato poi il 22 agosto bandiera della Russia.

Fornire un bilancio della figura del primo e ultimo presidente dell’Urss in poche righe è difficile, e anche i tentativi artisticamente più riusciti (penso al bel documentario di Werner Herzog del 2018) ne hanno fornito un ritratto parziale. Forse per Gorbaciov vale quel che l’artista Ernst Neizvestnyj espresse nel monumento funebre a Nikita Krusciov, con il marmo bianco che si alterna al nero, raffigurazione della complessità di una figura anch’essa speciale per la storia sovietica. A fine anni Ottanta l’Unità pubblicava in allegato un libricino intitolato “Se vince Gorbaciov”, e forse oggi l’interrogativo da porsi è se davvero abbia vinto.



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