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Flat tax, i sei consigli dell’Istituto Bruno Leoni

Non si spacci per flat tax il trattamento di favore di alcuni redditi. Anzi, chi la propone tenga bene a mente che una tassa piatta ben disegnata non tollera trattamenti di favore, esenzioni e bonus di qualunque tipo. L’analisi di Giuseppe Pennisi

Come ha ricordato Salvatore Zecchini su questa testata il 22 agosto, in Italia la pressione del fisco è in ascesa negli ultimi anni e si colloca tra le più elevate nell’Ue e sopra la media europea (43,5% contro 41,9% area euro senza Italia). Un ulteriore aggravamento, benché con finalità ridistributive a favore dei percettori di redditi medi e bassi e verso i meno abbienti, trascura completamente l’attuale notevole spostamento del carico fiscale su un gruppo minoritario di contribuenti.

Ed in questo contesto che occorre esaminare le proposte nei programmi elettorali in materia di fisco: chi vincerà le prossime elezioni si troverà a mettere mano al fisco. Non a caso proprio la delega fiscale è stato uno dei temi più delicati affrontati dal governo Draghi, e la revisione delle imposte è uno degli argomenti più discussi in campagna elettorale. In materia tributaria, il dibattito elettorale sembra concentrato, in modo manicheo, su favorevoli e contrari alla flat tax, senza esaminare cosa significa e come si può, se si vuole, applicarla in Italia, o meglio estenderne l’applicazione perché esiste già una flat tax su lavoratori con partita Iva (entro certi limiti di reddito) e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha documentato che ha fatto ridurre l’evasione e crescere il gettito.

L’Istituto Bruno Leoni (Ibl), che si tiene distante dall’agone politico, ha pubblicato il 22 agosto un breve studio che esamina i punti principali per una flat tax efficiente e efficace. Sono consigli non richiesti ma sui quali varrà la pena fare una riflessione se e quando la flat tax starà per diventare uno strumento di rilievo.

Il primo punto dell’Ibl è che per gli italiani flat tax è ormai sinonimo di riduzione della pressione fiscale. Visto che le autorità europee non permetterebbero una riforma fiscale in deficit, tanto meno in un Paese che ha un debito pubblico come il nostro, chi la propone non può eludere il tema delle “coperture”. Cioè, per essere chiari, dei tagli strutturali alla spesa pubblica, che sono necessari a rendere possibile la flat tax e che devono essere tanto più profondi quanto più la riforma vuole essere ambiziosa. Oppure di drastica riduzione di tax expenditures, bonus e privilegi tributari a questo od a quel gruppo di pressione.È un esercizio necessario ed urgente.

Non si spacci per flat tax il trattamento di favore di alcuni redditi (segnatamente dei redditi di alcuni lavoratori autonomi). Anzi, chi la propone tenga bene a mente che una flat tax ben disegnata non tollera trattamenti di favore, esenzioni e bonus di qualunque tipo. Per definizione e per costrutto, la flat tax è una tassa piatta, uguale per tutti, che trova giustificazione proprio nella volontà di non trattare in maniera diversa i redditi delle persone, indipendentemente dalla loro origine.

Una tassa forfettaria seria non è una modifica al margine del sistema tributario e neppure alla sola Irpef. Al contrario, richiede che il sistema stesso venga ripensato per garantire, in presenza di una aliquota unica, il necessario equilibrio fra tutte le sue componenti. Di più, dal momento che una flat tax – diversamente da quel che pensano alcuni – non esclude affatto una concreta progressività ma non la confina al solo lato del prelievo, una tassa piatta seria richiede che si rifletta attentamente sulla struttura dell’intero bilancio pubblico. Il rapporto fra fisco e assistenza è solo l’esempio più immediato. Chi la propone, in primo luogo, necessita di una norma di delega ben scritta, ampia ma non vaga, redatta, se possibile, da esperti. La legislatura appena finita, sottolinea l’Ibl (e sono interamente d’accordo), ci ha fornito non pochi esempi di norme pensate poco e scritte male e di deleghe troppo generiche per poter essere concretamente esercitate

In una riforma di ampia portata e certamente innovativa come sarebbe una riforma incentrata su una flat tax, la fase transitoria è tanto importante quanto la fase a regime per evitare crisi di rigetto. Essa va accuratamente pianificata in ogni suo aspetto (comunicazione, informazione, transizione) senza inutili accelerazioni.

Una riforma fiscale ben allestita – e tanto più una riforma fiscale intesa a rendere più semplice e comprensibile il sistema, come la flat tax – non si ferma al ridisegno di questa o quella imposta. Deve necessariamente riguardare anche il funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e il rapporto fra fisco e contribuente.

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