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Sta arrivando una “strana recessione”? L’analisi di Pennisi

Quella che si sta avvicinando, su piano mondiale, potrebbe essere “una strana recessione” che colpirà alcuni Paesi, come l’Italia, ma che dopo un periodo non molto lungo porterà ad un riassetto positivo all’economia dei Paesi Ocse

Vi ricordate la “Drôle de guerre”? Il periodo che va dal 3 settembre 1939 (dichiarazione di guerra di Francia e Gran Bretagna alla Germania) al 10 maggio 1940, invasione del Belgio e dell’Olanda da parte delle truppe tedesche. Una “strana guerra” proprio in quanto, nelle trincee, eserciti avversari si fronteggiavano ma nessuno sparava un colpo.

Quella che si sta avvicinando, su piano mondiale, potrebbe essere “una strana recessione” che colpirà alcuni Paesi (ad esempio, quelli – come l’Italia – fortemente indebitati) ma che dopo un periodo non molto lungo porterà ad un riassetto positivo all’economia dei Paesi Ocse.

Il Fondo Monetario, nel suo ultimo documento previsionale, ha tratteggiato i rischi di una recessione mondiale a ragione della guerra in Europa orientale e delle varie ondate delle pandemie (al Covid-19 si aggiunge quella chiamata il vaiolo delle scimmie). Gli Stati Uniti sono entrati da circa una settimana in recessione tecnica (due trimestri consecutivi di crescita negativa del Pil). L’Italia ha esposto nel secondo trimestre del 2022 un incremento dell’1% del Pil, un dato che è stato interpretato in modi molto differenti: da un lato c’è chi lo ha considerato un segno positivo di crescita nonostante le difficoltà dell’economia mondiale, da un altro è stato letto come un’indicazione che l’economia del Paese sta scivolando in recessione.

Le statistiche che hanno fatto sorgere maggiori dubbi sono quelle attinenti alla recessione tecnica americana: il saggio di disoccupazione è il 3,6% delle forze di lavoro (quello che in Italia si è registrato nel 1963, ossia all’apice del miracolo economico), gli indici di borsa (pur se hanno registrato una contrazione rispetto allo scorso dicembre) son in netta ripresa, le grandi imprese (specialmente quelle dell’high tech) sfoggiano utili elevatissimi e fanno da traino al settore industriale, i servizi sono in rilancio dopo la stasi subita nei momenti peggiori della pandemia.

In un lungo articolo sul New York Times, il Premio Nobel Paul Krugman ha messo in dubbio la metodologia e la base statistica con cui il Business Cycle Dating Committee del National Bureau of Economic Research utilizza gli indicatori fornitigli dal Bureau of Labor Statistics per dichiarare una recessione tecnica. La discussione è eccessivamente complessa per interessare i lettori. È comunque utile sapere che un metodo definito nel lontano 1913 dall’economista Weslay Clair Mitchell (fondatore e a lungo presidente del National Bureau of Economic Research) viene messo in dubbio in occasione di questa strana recessione.

In effetti, la principale preoccupazione di governi e autorità monetarie, soprattutto in Europa, è l’inflazione non la recessione a ragione del rapido aumento dei prezzi delle materie prime, soprattutto gas. E, infatti, le politiche pubbliche, soprattutto quelle monetarie, sono mirate a domare gli aumenti dei prezzi. Particolarmente energiche quelle messe in campo dal Federal Reserve Board americano a cui stanno facendo seguito con differente accenti ed intensità le altre banche centrali – tranne quella del Giappone perché da un decennio il Sol Levante non sembra conoscere inflazione.

In prospettiva, però, anche la manovra monetaria più energica – quella americana – non è così dura come quella concepita nell’autunno del 1979 dall’allora presidente del Federal Reserve Board, Paul Volcker, una manovra che scatenò una lunga recessione negli anni Ottanta in America e in Europa. È utile però ricordare che nei dieci anni precedenti, i prezzi nei Paesi Ocse erano raddoppiati, mentre tra il 2011 e il 2021 sono aumentati del 29%.

Cosa concludere? Per domare l’inflazione, una piccola recessione pare inevitabile. Se nel frattempo, i governi europei si saranno liberati dalla servitù con la Russia (soprattutto in campo energetico), l’esito complessivo sarà un’economia atlantica migliore e meglio funzionante.

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