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Riformare la Pa senza iniziare ogni volta da capo

L’attuale stagione non è la più idonea per avanzare proposte come quella qui brevemente illustrata dal momento che il governo attuale non può promuovere iniziative straordinarie, ma nulla impedisce di mettere l’iniziativa nell’agenda del prossimo esecutivo. Il commento di Luciano Hinna, presidente del Consiglio sociale per le scienze sociali

Impariamo dagli errori. Le varie riforme della Pubblica amministrazione che si sono susseguite negli ultimi 25 anni hanno messo in evidenza alcuni elementi ricorrenti che non sono errori se su di essi riusciamo a capitalizzare.

  • Per una riforma non bastano le norme, buone o cattive che siano, ma serve comunque una funzione di accompagnamento, una governance della stessa e la costante pressione di chi l’ha ideata, normalmente il ministro, altrimenti perde di slancio ed incisività.
  • I tempi di realizzazione delle riforme non coincidono con i tempi di permanenza in carica del ministro della Funzione Pubblica che spesso non fa neanche in tempo ad annunciare una riforma che deve cedere il passo al ministro successivo.
  • Normalmente il ministro che subentra, prendendo atto che la riforma del precedente non ha funzionato -non perché sbagliata, ma semplicemente perché è rimasta in buona parte inapplicata- si sente in dovere di lanciare la propria e si alimenta così Il fenomeno della sommatoria delle riforme incompiute.
  • Nessun ministro prova a realizzare la riforma del ministro precedente. Quando va bene propone modifiche marginali, quando va male riparte da capo su altri fronti.
  • Anche il Dipartimento della Funzione Pubblica in molti casi non è garanzia di continuità tecnica per effetto del normale avvicendamento dei vertici, migrazione dei dirigenti in altri comparti, arrivo di nuovi con il nuovo ministro.
  • Ogni nuovo ministro si rende conto di questa situazione e propone normalmente obiettivi di breve termine per poter rendere conto ai propri elettori dei risultati raggiunti quando invece la riforma della PA necessita di obiettivi ambiziosi e realizzabili che non possono che essere di medio e lungo termine.

Due parole vanno spese per i ministri della funzione pubblica: sono stati una settantina dal dopo guerra ad oggi. Essi si dividono in due grandi categorie: una davvero poco affollata ed è quella dei ministri tecnici – perché quello del Dipartimento della Funzione Pubblica non può che essere che un ministero tecnico – che si sono auto candidati alla posizione o sono stati nominati per la loro esperienza tecnica professionale. Alla seconda categoria, invece, appartengono i ministri improbabili, quelli ai quali è stato assegnato un premio di consolazione, un ministero senza portafoglio, ma che sulla carta dispone di tanti arnesi tecnici che vanno utilizzati con grande attenzione e competenza dal momento che la Pubblica amministrazione con i suoi oltre tre milioni di dipendenti è la più grande azienda del Paese. Tra i ministri per caso, i sessanta di cui nessuno ricorda il nome, ci sono anche dei primi della classe con competenze altissime, ma in altri contesti; sono astronauti in cardiochirurgia, che spesso non giocano la carta dell’ignoranza scientifica ma l’arroganza di chi non sa che s si somma all’arroganza tipica dei primi della classe sbagliando però classe. Senza fare nomi chi segue questi temi da anni ha chiarissimo in mente nome cognome e partito di appartenenza.

Fra qualche mese avremo un nuovo governo e il rischio che il processo di riforma avviato con il governo Draghi di concerto con altri ministeri si interrompa, o nella migliore delle ipotesi rallenti, è molto forte e non possiamo permettercelo con il calendario pressante del Pnrr.

La proposta è semplice: il Parlamento, il presidente del Consiglio o i ministri di turno hanno il compito di “sognare” una riforma, articolarla, mettere a disposizione gli strumenti normativi necessari, ma la sua implementazione va affidata ad una autorità indipendente, scollegata dall’avvicendamento dei ministri e dei governi, un centro tecnico che sta in carica 6-7 anni, composta da tecnici di primissimo piano (non da giuristi, magistrati o politici senza competenza ed esperienze specifiche). La formula è già collaudata e si ispira a ciò che già si è fatto a suo tempo con l’Antitrust, l’Agcom, l’Aipa e il Cnipa o ciò che si fa oggi con gli istituti di alta ricerca come Infn, Inaf, Cnr, Inapp, Enea, etc. Nel Dipartimento della Funzione pubblica può rimanere l’attività di routine che non è poca cosa.

Come forma giuridica si potrebbe pensare anche ad una fondazione che può finanziarsi anche con il 5x mille dei dipendenti pubblici e che potrebbe ricevere anche contributi pubblici e privati come avviene con molti altri enti realizzando così una pressione sui risultati che non è solo del settore pubblico, ma di tutta la società civile.

L’attuale stagione non è la più idonea per avanzare proposte come quella qui brevemente illustrata dal momento che il governo attuale non può promuovere iniziative straordinarie, ma nulla impedisce di mettere l’iniziativa nell’agenda del prossimo governo sperando che la burocrazia, che c’è ed è pesante, non fornisca su un piatto d’argento il solito alibi perfetto per non fare.

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