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Le sanzioni alla Russia mordono. Pennisi spiega perché

Più che alla bilancia dei pagamenti bisogna guardare a quella commerciale. E il film racconta che Mosca non può importare ciò di cui più ha bisogno, il che è un problema non da poco. L’analisi di Giuseppe Pennisi

Le sanzioni imposte dall’Unione europea (Ue), gli Stati Uniti d’America (Usa) ed altri stati alla Federazione Russa per l’invasione dell’Ucraina mordono o non mordono? Possono, paradossalmente, costare di più a chi sanziona piuttosto che a chi è sanzionato? In questo caso non sarebbe il caso di rimuoverle e di utilizzare tale gesto come uno strumento per giungere ad un armistizio?

Questi argomenti stanno entrando di peso nella campagna elettorale in corso in Italia. Quindi, è bene dare qualche chiarimento di analisi economica. Per capire rapidamente se e quanto le sanzioni mordano è bene guardare non ai dati della bilancia dei pagamenti ma a quelli della bilancia commerciale e porli nel contesto appropriato, ovvero i contratti per acquisto di gas naturale conclusi (soprattutto dalla Germania) negli anni in cui (più a torto che a ragione) si credeva che la Federazione Russa si sarebbe gradualmente impregnata della “cultura” dell’Europa occidentale – in breve lo “spirito di Pratica di Mare”. In quel quadro, venne anche firmato un protocollo di associazione tra Federazione Russa e Nato.

Il gas veniva, poi, venduto a prezzo particolarmente buono e tramite contratti a lungo termine. Ora sappiamo che si è trattato di un trabocchetto in cui molti (soprattutto Berlino) sono caduti, dando alla Federazione Russa un’arma di ricatto. Infatti, il Cremlino risponde alle sanzioni aumentando il pezzo del gas o riducendone (con una scusa o con un’altra) le forniture.

Se si guarda alla bilancia dei pagamenti, è facile vedere la crescita di un attivo finanziario che rispecchia perfettamente l’aumento del prezzo del gas e le interruzioni – riduzioni delle forniture. Guardare ai dati della bilancia dei pagamenti è intuitivo ma errato: le sanzioni non sono mirate a causare una crisi dei conti finanziari con l’estero della Federazione Russa che con una moneta non convertibile potrebbe facilmente aggirarla svalutando il rublo. L’obiettivo delle sanzioni è quello di bloccare il funzionamento dell’economia russa. Per questo, come sostiene da tempo il Premio Nobel Paul Krugmann, occorre guardare alla bilancia commerciale che, da quando sono in atto le sanzioni espone un forte attivo perché sono crollate le importazioni.

Un’analisi dell’Economist Intelligence Unit mostra che Mosca non può importare ciò di cui più ha bisogno. Prendiamo l’aeronautica: numerosi aerei non decollano perché privi di pezzi di ricambio normalmente acquistati in Occidente. Ed è stata condotta dai dirigenti dell’aeronautica russa un inchiesta per vedere quali parti di aerei ormai a terra possono essere utilizzate per altri meno scassati. Ciò si applica a numerosi altri settori industriali. Secondo i dati forniti dagli uffici statistici russi al Fondo monetario negli ultimi sei mesi il Pil della Federazione ha subito una contrazione del 4%. Le sanzioni mordono.


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