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Sunak o Truss? Come cambierà l’approccio britannico verso la Cina

La corsa per la successione a Boris Johnson è una gara tra la ministra degli Esteri e l’ex cancelliere. Ma soprattutto è una corsa tra falchi, spinti dal Partito conservatore su posizioni dure verso Xi

Donald Trump lo dimostra. Criticare la “Cina” è più facile. Il suo “China” è diventato un meme già prima che vincesse le elezioni presidenziali del 2016 e diventasse Presidente degli Stati Uniti. Questo approccio, però, rischia di fare il gioco della Cina stessa. O meglio del Partito comunista cinese guidato. Confondere la Cina e il Partito comunista cinese crea le condizioni per addossare sul popolo cinese le colpe del suo governo e allo stesso tempo alimentare il nazionalismo, il collante su cui ha scommesso il leader Xi Jinping per tenere assieme un regime comunista e un modello economico pressoché opposto.

Nascono da queste considerazioni buona parte delle critiche rivolte all’approccio verso la Cina che Rishi Sunak, ex cancelliere dello scacchiere, ha promesso di adottare nel caso conquistasse la leadership del Partito conservatore e succedesse a Boris Johnson come primo ministro del Regno Unito. “La Cina e il Partito Comunista Cinese rappresentano la più grande minaccia alla sicurezza e alla prosperità del Regno Unito e del mondo in questo secolo”, ha scritto annunciando il suo piano in cinque punti: chiusura di 30 Istituti Confucio presenti nel Paese; istituzione di un’alleanza internazionale di “nazioni libere” per affrontare le minacce informatiche cinesi e condividere le migliori pratiche in materia di sicurezza tecnologica; espandere il raggio d’azione dell’MI5 (il controspionaggio) per fornire un maggiore sostegno alle imprese e alle università britanniche per contrastare lo spionaggio industriale cinese; realizzare un “kit di strumenti” per aiutare le aziende a proteggere la loro proprietà intellettuale; potenziare lo screening per prevenire acquisizioni cinesi di “beni chiave” britannici, comprese le imprese tecnologiche di interesse strategico.

Quella per la leadership tory è una gara tra falchi. Infatti, sia Sunak sia Liz Truss, la favorita, hanno posizioni dure sulla Cina, a volte semplicistiche secondo i critici. Anche in questa corsa, Truss parte davanti, potendo vantare nel curriculum gli ultimi due anni, quelli in cui è stata ministra degli Esteri, durante i quali ha assunto più volte posizioni critiche verso Pechino e insistito affinché il Regno Unito sviluppasse una “rete della libertà” con altre democrazie. Al suo fianco c’è buona parte dei falchi tory, come Iain Duncan Smith, l’ex leader del partito, sostenitore della linea dura contro il 5G cinese. Da ex ministro delle Finanze, incaricato dunque di promuovere legami economici più stretti con tutti i Paesi compresa la Cina, Sunak sembra stia cercando di farsi perdonare alcune mosse. Tra cui l’impegno di quest’anno per riprendere i colloqui di governo ad alto livello.

Come ha raccontato Politico, la corsa alla leadership tory non è passata inosservata a Pechino. Una vignetta pubblicata dal Global Times, quotidiano in lingua inglese della propaganda del Partito comunista cinese, ritraeva Truss e Sunak in gara per essere il “più grande picchiatore della Cina”, ignorando l’impennata dell’inflazione e la crisi energetica globale. Un commento del China Daily, invece, ha ipotizzato che il candidato vincente potrebbe voler nominare un “segretario dell’odio per la Cina”.

Chiunque vinca, dovrà fare i conti con il Partito conservatore che in questi tre anni da primo ministro ha spinto Johnson, che si è ripetutamente dichiarato sinofilo, su posizione più dure verso la Cina. Tanto che la pubblicazione dell’attesa strategia sulla Cina è stata più volte rinviata dal governo. Ora, con gli ultimi sviluppi, è congelata.

Che Sunak continui sulla linea Johnson o che Truss alzi la voce, l’approccio britannico verso la Cina sarà comunque segnato da due elementi. Primo: la conferma della fine dell’età dell’oro nelle relazioni bilaterali che segnò l’era di David Cameron al numero 10 di Downing Street. Secondo: la necessità per Londra di ripensare il rapporto con Pechino, magari ispirandosi a Washington che con l’amministrazione Biden, nonostante le divergenze, mantiene linee di comunicazione aperte per evitare incidenti.

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