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Il taglio dei parlamentari e la sindrome dell’arto fantasma secondo Lucarella

Siamo alle porte delle prime elezioni nazionali con il nuovo assetto: 400 deputati e 200 senatori verranno eletti il 25 settembre prossimo ed è come se le forze politiche non si rendessero conto della stortura creata dalla modifica del testo costituzionale. L’opinione di Angelo Lucarella

Tempo fa paragonai, rispettosamente, il cosiddetto “Taglio parlamentari” alla sindrome dell’arto fantasma.

Sul piano medico-scientifico consiste in una “sensazione anomala di presenza di un arto a seguito della sua amputazione: il soggetto percepisce sensazioni tattili provenienti dall’arto amputato, ne avverte la posizione e riferisce di poterlo muovere, ma soprattutto accusa in loco un dolore continuo e debilitante (algoallucinosi), descritto come qualitativamente molto vario. Sebbene questo tipo di patologia sia comunemente associata all’amputazione di un braccio o di una gamba, si può verificare anche dopo la rimozione chirurgica di altre parti del corpo, come il seno, il pene, un occhio, la lingua o un dente”.

Siamo alle porte delle prime elezioni nazionali con il nuovo assetto: 400 deputati e 200 senatori verranno eletti il 25 settembre prossimo.

Ora, un quadro politico del genere potrebbe passare inosservato ma di fatto potrebbe generare una sorta di oligarchia mascherata (mascherata nel senso che i partiti, le loro segreterie, diventano ancora più forti e decisivisi nello scegliere chi vive e chi muore alle soglie di Montecitorio o di Palazzo Madama).

Nell’idea di chi tempo addietro ha spronato tale modifica della Costituzione dovrà aver albergato una delle due cose:

  • o il vuoto di visione atteso che non si capisce il senso di un taglio secco di rappresentanti del popolo;
  • oppure il contrario (ciò sarebbe gravissimo) ovvero che si volesse, pian piano, portare il Parlamento ancor più nelle mani di pochi fino a polarizzarlo a tal punto da insinuare il monopartitismo per esasperazione (sarebbe ancora una democrazia quella attuale?).

Diamo il beneficio del dubbio e, mantenendo l’attenzione sul primo dei due profili, con un breve esempio di quel che potrebbe accadere (ma che è intuibile accadrà) è possibile dimostrare la stortura politico-costituzionale dell’entrata in vigore del “taglio parlamentari” (suffragata in sede referendaria peraltro).

Partiamo dal considerare una Regione come il Molise (non me ne vorranno gli stimatissimi concittadini molisani), ma è solo per partire da un piano di valutazione delle cose che si vogliono argomentare e analizzare.

Premettiamo che l’art. 57 della Costituzione recita “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di duecento, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione o Provincia autonoma può avere un numero di senatori inferiore a tre; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno”.

Ora, con tutto il rispetto per il Molise, qual è il criterio per cui una Regione di circa 300mila abitanti (cioè 1/3 in più circa della Città di Taranto) deve avere minimo 2 senatori e la Puglia, ad esempio ancora, minimo 3 senatori con una popolazione di gran lunga superiore di almeno “enne” volte e la cui variazione in aumento dipende dai fattori della tornata elettorale?

Variazione in aumento, per giunta, discutibile se il fine della democrazia parlamentare è garantire quanto più omogeneamente rappresentanti e rappresentatività.

Ma si considerano due fattori:

  • il limite massimo di 200 senatori da ripartirsi su proporzione regionale;
  • l’estensione territoriale e la diversa corposità della popolazione.

Facendo un semplice calcolo a naso, considerando il limite di scranni a Palazzo Madama significa che: 200 posti meno 4 senatori eletti all’estero, meno 6 senatori spettanti al Trentino Alto Adige (cioè minimo 3 per le provincie autonome), meno 1 della Valle d’Aosta, meno 2 del Molise si ottengono circa 187 posti disponibili alla fluttuazione elettorale.

Se dividiamo 187 per le regioni 18 residue (includendo solo per eccesso di zelo nuovamente il Trentino Alto Adige ai sensi dell’art. 131 della Costituzione e quindi non limitandoci a 17 Regioni) otteniamo un risultato di circa 10/11 senatori per territorio regionale se prendiamo ancora ad esempio la Puglia e il Molise. Ed è incredibile tutto ciò perché la Puglia otterrebbe neanche 2 senatori per provincia (essendo quest’ultime 6); il ché dimostra, su un netto di popolazione comparativo con il Molise, una enorme sproporzione al ribasso.

E se prendiamo il Trentino Alto Adige (sempre con massimo rispetto) sei senatori rappresenterebbero circa 1 milione di persone; rispetto alla Puglia che conta circa 4 milioni di abitanti, significherebbe che due terzi dei parlamentari minimi (tre per provincia autonoma) godrebbero di maggiore incidenza in termini di rappresentatività rispetto ai dieci/undici pugliesi.

Le revisioni costituzionali, in conclusione, sono una cosa seria e partorire una disarmonia del genere (evidente e palese) poteva farlo solo una contemporaneità caratterizzata da pura idiozia.

Quell’idiozia che dal basso verso l’alto ha partorito una particolare rappresentanza e che dall’alto verso il basso ha ingenerato miscredenza alla serietà politica delle cose (da qui l’esito del referendum).

Come direbbe il buon Temistocle Martines “la rappresentanza senza rappresentatività è priva di effettività. Con il rischio che il tutto si trasformi in un guscio vuoto”.

La democrazia, se tagliamo cose senza criterio (come lo è stato per le province), rischia di morire. Uccisa!


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