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Le sanzioni funzionano. Ecco Putin da chi è costretto a comprare armi

Di Emanuele Rossi e Otto Lanzavecchia
Soviet missile launcher

Messo alle strette dalle misure occidentali e stremato da sei mesi (non preventivati) di sforzo bellico in Ucraina, il comparto russo deve rivolgersi a Stati paria e cercare di procacciarsi i microchip sottobanco per rimpinguare le scorte di munizioni. In barba alla propaganda del Cremlino

La Russia sta acquistando milioni in proiettili d’artiglieria e razzi dalla Corea del Nord, secondo informazioni americane recentemente declassificate e ottenute dal New York Times. È un’altra indicazione su come le forze di Mosca siano in difficoltà nella campagna di invasione dell’Ucraina, anche perché le sanzioni globali coordinate da Ue e Usa hanno fortemente limitato le catene di approvvigionamento russe, costringendo Mosca a rivolgersi a Stati paria per le forniture militari.

La rivelazione sull’aiuto da Pyongyang arriva pochi giorni dopo che la Russia avrebbe ricevuto le prime spedizioni di droni di fabbricazione iraniana (alcuni dei quali, secondo quanto detto dall’intelligence americana ai media, presentavano problemi meccanici). Gli Stati Uniti hanno fornito pochi dettagli sull’armamento nordcoreano, sui tempi o sulle dimensioni della spedizione. In più non ci sono conferme ufficiali. Possibile che in futuro emergeranno nuove informazioni, come successo nel caso dei droni iraniani.

La scelta si abbina anche alle recenti rivelazioni dell’intelligence britannica, secondo cui le forze russe sarebbero demoralizzate e demotivate. L’arrivo di nuovi equipaggiamenti e di rifornimenti potrebbe anche servire ad alzare l’umore delle truppe, che stanno vivendo una fase di difficoltà sul terreno e subendo una serie di contrattacchi — frutto anche dell’ingresso nel teatro di combattimento di armamenti più tecnologici, forniti da Europa e Stati Uniti agli ucraini.

La decisione russa di rivolgersi all’Iran e alla Corea del Nord segnala che le sanzioni e i controlli sulle esportazioni imposti da Washington e Bruxelles stanno danneggiando la capacità di Mosca di ottenere forniture. L’industria bellica è tra le più colpite, essendo fortemente dipendente dalla tecnologia occidentale e sottoposta a misure restrittive già dai tempi dell’annessione della Crimea. Nonostante il Cremlino stia tentando di potenziare il comparto tecnologico nazionale, l’isolamento globale, la fuga di cervelli e l’arretratezza originaria gli impediscono di riempire il vuoto lasciato dalle forniture estere.

La guerra ha anche mostrato i limiti degli armamenti russi e creato un danno reputazionale, poiché diversi acquirenti internazionali hanno visto che i pezzi acquistati da Mosca presentano diverse falle dal punto di vista operativo. Forse questo non basta a rompere il patto di dipendenza che lega la Russia ai propri clienti, ma la questione delle sanzioni crea un ulteriore problema.

Il Cremlino continua a spingere sulla narrativa secondo cui le misure sarebbero un boomerang per chi le applica. Oggi la portavoce del ministero degli Esteri russo ha detto che “Roma è spinta al suicidio economico per la frenesia sanzionatoria euro-atlantica”, e le imprese italiane saranno “distrutte dai ‘fratelli’ d’Oltreoceano”, poiché le aziende americane oggi “pagano l’elettricità sette volte meno di quelle italiane”, usando termini simili a quelli alcuni partiti russofili europei. Ma la realtà è diversa.

Le sanzioni che colpiscono la componentistica hi-tech rendono le armi russe meno efficienti, creando imbarazzi davanti agli acquirenti (un caso su tutti: i radar che non riescono a coprire le difese aeree sull’Ucraina) e riducendo la capacità produttiva di Mosca (rallentando, al contempo, i progressi sul campo). Di fronte a questo, il Cremlino si trova forzato a scegliere fornitori alternativi per mandare avanti la guerra, anche perché è costretto a continuare a produrre per l’export (e a rassicurare gli importatori riguardo l’affidabilità dei propri prodotti) con cui finanziare l’offensiva.

Già oggi l’esercito russo è costretto a ricorrere sempre più a missili obsoleti, lasciti dell’Unione sovietica, avendo usato gran parte degli armamenti moderni – più precisi in virtù dei chip al loro interno – di cui disponeva. Da qui il ricorso a Pyongyang, e le pressioni di Kiev verso gli alleati per assicurarsi che le loro sanzioni continuino a impedire a Mosca l’accesso ai semiconduttori moderni. L’esercito ucraino, forte dei rifornimenti occidentali, vuole conservare il vantaggio tecnologico che va allargandosi.

Intanto la Russia non è rimasta con le mani in mano e ha dato ordine ai suoi agenti di procacciarsi i prodotti tecnologici necessari, costi quel che costi. Una lista trapelata e pubblicata da Politico dimostra che quasi tutti tra i venticinque prodotti più ricercati da Mosca sono microchip prodotti da aziende occidentali. Si va da “semplici” transceiver da pochi euro ai chip di ultima generazione, che nel mercato inflazionato russo possono costare oltre 1.100 euro. Anche la lista di prodotti di importanza media (marcati “importanti” ma non “critici”) ha una forte prevalenza di prodotti europei.



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