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Mentre Biden nega armi più potenti a Zelensky, che ne è del rischio nucleare?

Di Matteo Turato

Zelensky riceve il no di Biden ad armi più potenti che possano colpire obiettivi russi in profondità.  Con la sua vittoriosa offensiva Kiev ha ribaltato le sorti del conflitto, anche se la fine della guerra non appare vicina. Mosca con le spalle al muro potrebbe propendere per un’escalation nucleare? Ecco cosa ne pensa il generale in pensione Wesley Clark

L’emittente di stato finlandese Yle ha riferito che la Russia ha spostato un grande numero di piattaforme antiaeree, lasciando vuote le basi vicine alla città di San Pietroburgo, probabilmente dirigendole verso il confine Ucraino. La notizia, basata sulle immagini satellitari, ha destato scalpore, dopo che il presidente Zelesnky ha chiesto agli Stati Uniti di fornire a Kiev armi balistiche in grado di colpire in profondità nei territori russi. Ma andiamo con ordine e vediamo qual è la situazione del conflitto.

Nel giro di un paio di settimane le forze armate di Kiev hanno ripreso il controllo di buona parte dei territori occupati. Il settimanale The Economist in uno dei suoi podcast ha intervistato il generale americano in pensione Wesley Clark, secondo il quale l’attuale conflitto in Ucraina può essere sommariamente diviso in tre fasi.

La prima fase era stata quella dell’attacco russo su Kiev, la seconda la lenta presa russa sul Donbass e la terza, quella che vediamo oggi, la controffensiva ucraina. I russi avrebbero speso ad oggi la maggior parte delle proprie risorse offensive, mentre al contrario la parte ucraina ha ricevuto una decisiva scorta di armi, munizioni e sistemi tecnologicamente sofisticati. Per questo motivo, sostiene, il contrattacco è partito in questo momento.

Il punto essenziale per Kiev, a questo punto, è di non galvanizzarsi per la vittoria e rimanere concentrata. Le due battaglie, quella nel nord est e quella a sud, sono state vinte, ma la guerra finirà quando Putin deciderà che sarà impossibile vincerla. Il prossimo assalto russo potrebbe avvenire tra qualche mese quando il terreno smetterà di essere fangoso e Mosca avrà avuto il tempo di raggruppare le sue truppe, portare nuovi battaglioni sul campo, addestrare nuovi carristi.

Per quanto riguarda le capacità militari della Federazione Russa, appare evidente quanto il mondo le abbia sovrastimate. L’ex generale ricorda come le dottrine militari occidentale e russa divergano su un punto cruciale: ovvero l’enfasi posta sulla vita e l’addestramento del singolo soldato nelle forze armate statunitensi, al contrario di quelle russe. Per gli Usa, la vita di ogni militare è cruciale e va difesa a tutti i costi, mentre i soldati sovietici e contemporanei sono stati mandati a morire senza grande riguardo per il valore di ognuno. A suo dire, questo incide sulla scarsa determinazione dei soldati di Mosca sul campo.

Per quanto riguarda le future tattiche e strategie che gli Ucraini dovrebbero adottare, esistono ad oggi tre ordini di priorità. Dal punto di vista strettamente operativo la precedenza andrebbe data alla preparazione di posizioni difensive il più a est possibile, in vista del prossimo attacco. Dal punto di vista logistico è imperativo potenziare il sistema di rifornimenti e soprattutto dei cambi, intesi proprio come il cambio dei soldati sul campo. Un attacco come quello portato avanti in questo momento provoca inevitabilmente delle perdite, e i soldati ancora vivi hanno combattuto ininterrottamente per diversi giorni.

Dare il cambio a queste unità è essenziale e qui l’interrogativo si pone: Kiev ha risorse operative sufficienti  per estendere ulteriormente l’attacco? Da qui sorge la necessità per l’Ucraina di non sovraestendere l’offensiva nell’impeto delle recenti vittorie. Dal punto di vista più strategico l’impellenza è quella di chiedere ulteriore assistenza occidentale.

L’ex generale tocca qui un punto caldo. E’ di questi giorni la notizia secondo cui il presidente Zelensky avrebbe chiesto all’alleato statunitense armi più potenti, in particolare il sistema MGM-140 Army Tactical Missile System (Atacms). L’ Atacms rientra nella famiglia dei missili balistici a corto raggio (Srbm), ed è in grado di colpire obiettivi a circa trecento chilometri, quindi potrebbe colpire siti in Crimea e in profondità nei territori russi, molto più degli ormai famosi Himars che hanno una gittata di circa ottanta chilometri. Nonostante la leadership ucraina assicuri alla controparte che il sistema non verrebbe utilizzato contro obiettivi civili, né contro città russe, l’amministrazione Biden ha accolto la richiesta piuttosto freddamente.

Tutta la strategia statunitense fino ad oggi è stata imperniata sull’assicurare a Putin di non volere un conflitto esteso con la Russia, e consegnare armi di questa portata agli ucraini significherebbe fornire loro la concreta possibilità di attaccare obiettivi all’interno della Federazione. Fino ad oggi il Pentagono ha donato migliaia di missili a guida satellitare e sedici lanciatori Himars, con cui Kiev ha colpito più di quattrocento siti russi tra depositi di munizioni, posti di comando, postazioni radar. Indiscrezioni riferite dal New York Times suggeriscono che il Presidente americano abbia chiesto al Pentagono di fornire un’analisi su quanto il sistema missilistico Atacms inciderebbe a favore dell’Ucraina, per sentirsi rispondere che i benefici sarebbero minimi.

La controversia si inserisce in un momento critico più che mai. Di fronte alle sconfitte russe tutti gli apparati statunitensi, dalla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato, al Pentagono e all’Intelligence, temono che Putin decida di alzare il tiro. E’ piuttosto improbabile che un’escalation assuma carattere nucleare, dal momento che la Russia otterrebbe scarsi vantaggi sul terreno e sconterebbe enormi costi politici. Ma gli apparati americani hanno ricordato che fino ad oggi Mosca ha scelto di compiere pochi attacchi sulle infrastrutture critiche ucraine, come i sistemi di distribuzione idrica o di corrente elettrica e, ancora più importante, non ha scatenato le proprie micidiali unità di attacco cyber; unità che il mondo ha già visto in azione più volte negli anni recenti.

Fino ad oggi la strategia americana ha funzionato: continuare a fornire assistenza finanziaria, militare e di intelligence a Kiev, senza provocare reazioni di Mosca su larga scala. Venerdì Putin, al meeting della Shanghai Cooperation Organization in Uzbekistan ha riferito che “se la situazione continuerà come ora, la risposta russa si farà più seria”. Ha poi aggiunto che l’Ucraina sta portando avanti degli “atti di terrorismo” e ha descritto i recenti attacchi missilistici russi come “colpi di avvertimento”.  Sempre venerdì, il vicedirettore della Cia David Cohen ha sostenuto: “Non credo che dovremmo sottostimare l’aderenza di Putin al suo obiettivo originale, che era quello di controllare l’Ucraina. Non dovremmo sottostimare la sua predisposizione al rischio”.

L’opzione nucleare è reale? Diversi analisti, tra cui il generale Clark sostengono che sia improbabile. Durante la Guerra Fredda sono state condotte parecchie esercitazioni che tenevano conto di attacchi nucleari tattici e non venivano trovati decisivi sul campo. Per gli ucraini questa è una guerra esistenziale, quindi non sarà un elevato numero di morti a seguito di un attacco nucleare a fermarne la resistenza. A questo aspetto tattico bisogna aggiungere che il costo politico di una tale scelta sarebbe insostenibile. La Federazione Russa, già in rapporti ostili con l’Occidente, vedrebbe tentennare il supporto cinese e indiano, oltre a fare la figura di un paese che si aggrappa a questo genere di reazioni perché perdente.

Insomma, sarebbe una reazione totalmente irrazionale. “Putin può commettere errori, ma, come abbiamo più volte visto, non è un leader irrazionale”, dice Clark. L’elemento che potrebbe alterare fortemente le sorti del conflitto sarebbe una leva generale e obbligatoria in Russia, strada che il Cremlino ha scientemente evitato di intraprendere fino ad oggi. Ma in fondo quanto sarebbe efficiente un esercito così grande e tecnicamente impreparato se osserviamo enormi difficoltà logistiche già ora con l’”operazione speciale”?


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