Di fronte allo scenario geostrategico attuale, il prossimo esecutivo deve assicurare il proprio supporto alle eccellenze italiane della Difesa, puntando ad assumere posizioni di leadership nei progetti europei del settore dove le nostre realtà possono esprimersi al meglio. Ad Airpress, il punto di Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad
In vista delle votazioni di settembre è bene chiedersi quali possano essere le priorità delle diverse coalizioni e partiti in corsa alla elezioni per il settore della Difesa, anche sul piano industriale. Ne abbiamo parlato con Carlo Festucci, segretario generale della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad).
Festucci, come cambiano gli scenari per la Difesa dopo le elezioni?
Ritengo sia molto complesso, se non impossibile, ragionare sulle politiche della Difesa di un Paese, e delle connesse implicazioni industriali, partendo dai programmi presentati dai singoli partiti. Questo perché si tratta di una questione complessiva che riguarda in primis il Parlamento e la continuità delle scelte a livello politico. Sarebbe molto singolare che, dopo aver impostato i vari progetti della Difesa come quelli a supporto all’Ucraina, il prossimo Parlamento decida di cambiare improvvisamente direzione. Una tale scelta porterebbe a una crisi dei rapporti internazionali, a partire dall’Europa. Questo dimostra come sia necessaria la continuità. In questo senso, bisognerebbe ragionare degli interessi strategici del nostro Paese, in ragione dell’evoluzione politica e industriale che si sarà in Europa a livello internazionale.
Da cosa partiamo?
Per fare un esempio, ci troviamo davanti all’esigenza di realizzare il progetto della Difesa comune europea, resa ancora più urgente dopo quanto successo nei rapporti con la Russia in seguito all’aggressione all’Ucraina. Questo progetto dovrà prevedere intanto una capacità di pronto intervento, che possa agire nei momenti di crisi con efficacia. Tuttavia, personalmente ritengo che prima ancora di decidere la costruzione di Forze armate europee ci sia l’esigenza di strutturare una politica estera comune, senza la quale è impossibile pensare a quali potrebbero essere le possibilità di dispiegamento. Inoltre, al di là del fatto che l’Ue stanzi i fondi e implementi i programmi comuni per la Difesa, ci sarà sempre più l’esigenza di integrare e razionalizzare l’industria di settore del Vecchio continente. Questo, a mio avviso, dovrebbe essere una delle questioni principali sulle quali i partiti dovrebbero interrogarsi, a prescindere da chi vincerà o perderà le elezioni.
Quindi secondo lei su cosa dovrebbe puntare il prossimo governo?
Innanzitutto è fondamentale conoscere quali sono le eccellenze del nostro Paese nel settore della Difesa, sapendo che disponiamo di capacità umane e tecniche di altissimo livello. Solo in questo modo potranno essere prese le decisioni su quali sono le realtà a livello europeo che possono agire da driver. Come Paese, dunque, dobbiamo interrogarci su quali potrebbero essere le priorità della Difesa europea e in quali settori possiamo puntare per ottenerne la leadership. Per fare degli esempi, abbiamo eccellenze riconosciute nel campo della cantieristica, dell’elicotteristica così come per l’elettronica della Difesa. I partiti, quindi, dovranno avere il coraggio di capire come investire i fondi, se distribuirli “a pioggia” oppure concentrarli verso le eccellenze, con un approccio differente verso chi eccellenza ancora non è. Questa capacità di selezione è solo apparentemente industriale, e richiederà invece delle decisioni che fanno capo necessariamente alla politica.
In che modo, dunque, il nuovo esecutivo potrebbe sostenere questa leadership dell’industria nazionale della Difesa?
Ogni Paese ha bisogno che lo Stato supporti la propria industria della Difesa, affinché abbia le risorse necessarie per sviluppare i progetti innovativi e portare avanti le iniziative strategiche. In questo momento, c’è bisogno di giocare una partita europea, non più nazionale, e senza il sostegno del governo si rischiano di perdere opportunità importanti. Come potremmo, infatti, raggiungere delle posizioni di leadership nel comparto europeo senza il sostegno del Parlamento e delle istituzioni? Il settore della Difesa, tra l’altro, è ad elevato contenuto tecnologico e richiede capacità umane di elevata qualità. Perdere le opportunità giuste significherebbe accumulare ritardi incolmabili, che ci farebbero diventare sempre meno competitivi. E non possiamo permettercelo. Abbiamo le capacità e le competenze, e il prossimo Parlamento deve prenderne atto, supportando sempre di più il settore della Difesa. Un vantaggio per l’intero sistema-Paese, con ricadute importanti anche in chiave di politica estera.
Proprio rispetto allo scenario internazionale, quale dovrebbe essere la linea tenuta dall’Italia?
Quella europea. Non possiamo, per esempio, affermare di non voler più mandare armi all’Ucraina, dal momento che questo ci porrebbe in antitesi con tutti gli altri Paesi del Vecchio continente. L’Europa sta stanziando, inoltre, ingenti fondi per sostenere i programmi di Difesa, compresi nuovi sistemi d’arma, e sarà sempre più difficile immaginare che ogni Paesi implementi un proprio programma di ammodernamento su base di singola nazione. Al contrario, si moltiplicheranno le occasioni di collaborazione con progetti in comune. L’Italia, naturalmente, dovrebbe puntare a giocare un ruolo da protagonista, ma per farlo deve avere le risorse e il supporto politico adeguato, a prescindere da chi sarà eletto. Soprattutto, deve esserci continuità di scelte in un settore importante e strategico come quello della Difesa per l’intero sistema Paese. Per fare un esempio, il programma del sistema aereo di sesta generazione ha un orizzonte temporale di un ventennio. Interromperlo improvvisamente sarebbe un errore grave. Un altro esempio è l’iniziativa, a mio parere positiva, del ministro Lorenzo Guerini di aver stabilito un programma di politica industriale e di politica estera della Difesa che hanno messo al centro la continuità e la programmabilità dei due ambiti.
Sul fronte atlantico, invece, e soprattutto sul tema dello stanziamento del 2% del Pil alla Difesa, i partiti hanno posizioni anche molto divergenti tra loro…
Partendo dal presupposto che sia impensabile pensare a un’Italia non inserita nella Nato, credo che ormai non ci siano più dubbi sulla necessità di raggiungere la famosa soglia del 2%. Il problema in questo caso non è la preferenza dell’uno o dell’altro partito, ma saranno le condizioni economiche del Paese a decidere la rapidità con la quale sarà raggiunto tale traguardo. Personalmente, credo che ci si arriverà in maniera graduale, considerando l’attuale situazione economica, ma alla fine ci si arriverà. Anche in questo caso, a fronte di tutti i Paesi europei che decidono di andare verso una direzione, con l’aumento dei budget così come concordato in sede Nato, se l’Italia decidesse di astenersi sarebbe un problema. Io credo che, alla fine, verranno stanziati i fondi necessari, seguendo le condizioni economiche del momento.
Di recente Matteo Salvini ha proposto la reintroduzione della leva per “formare i giovani” e combattere il fenomeno delle baby gang. Cosa ne pensa?
Secondo me sono esternazioni squisitamente da campagna elettorale. Parlare di ritorno alla leva è anacronistico, anche in ragione dello scenario geostrategico che abbiamo davanti. C’è bisogno di un esercito di professionisti, senza parlare delle mancanze strutturali che affliggerebbero il comparto militare con un ritorno della coscrizione. Le sole caserme attualmente attive non sarebbero sufficienti ad accogliere le classi di leva. A essere sbagliato è proprio l’approccio.