Il convegno organizzato dall’Istituto Luigi Sturzo, con un parterre di relatori di primissimo piano, da Tarquinio a Riccardi, passando per Zamagni, Giovagnoli, De Rita e Damilano, ripropone l’antica questione, oggi talmente attuale da divenire emergenziale
Questione antica e complessa ma anche attuale allo stesso tempo, quella tra cattolici e politica. Inevitabile non riproporla a pochi giorni dal voto del prossimo 25 settembre, dopo i divergenti editoriali giornalistici che hanno tenuto banco, nelle scorse settimane, seppure in maniera sommessa, quasi si trattasse di un argomento per addetti ai lavori. Tutta la storia della politica italiana parla del rapporto con la Chiesa, come luogo di intermediazione tra i cattolici e le istituzioni democratiche, culminato con la nascita del cattolicesimo politico, che arriva fino ad oggi seppur in maniera claudicante.
IL CONVEGNO ALL’ISTITUTO LUIGI STURZO
Ma chi sono oggi i cattolici in politica, ma soprattutto dove sono, e perché? Dai cattolici in politica nacque il sogno europeo, e quella della DC è stata la grande prova politica. In gioco c’è però anche la “mutazione ecclesiologica, che ha avuto inizio con la Lumen Gentium”, in cui “sfumava una concezione dei cattolici in politica, quella di una Chiesa come corpo mistico, che con le sue membra, i laici, cristianizza il mondo”, ha spiegato il presidente dell’Istituto Luigi Sturzo, Nicola Antonetti, introducendo l’evento organizzato a Roma dallo stesso istituto, dal titolo “Cattolici e politica, ieri e oggi”, con un parterre di relatori di primissimo piano, dal direttore di Avvenire Marco Tarquinio al fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi, passando per l’economista Stefano Zamagni, lo storico Agostino Giovagnoli, il sociologo Giuseppe De Rita, il giornalista Marco Damilano.
C’è stata, insomma, per Antonetti, una “trasformazione nella dimensione pubblica in cui opera la Chiesa”, dove “la politica si è dislocata”, ovvero “non si esercita più nei luoghi tradizionali della politica”. Da qui, il prosciugamento dei tempi e dei modi della politica, con l’apertura verso altri modelli di partecipazione e di “invenzione”. Dimensioni e orizzonti nuovi che vanno però compresi, se si vuole immaginare il futuro dei cattolici in politica.
DAMILANO: “LA CRISI DEI CATTOLICI È QUELLA DI TUTTE LE ISTITUZIONI E DELLA SOCIETÀ CIVILE”
“Io credo che la crisi delle istituzioni politiche sia diventata anche la crisi della società civile, vale a dire di tutto quello che è attorno a ciò che noi chiamiamo sfera politica, delle istituzioni, dei partiti e delle mediazioni”, ha proseguito Marco Damilano. Se la società civile “organizzata” viene meno, infatti, finisce al centro della scena quella disorganizzata, che non ha bisogno cioè di mediazioni. Arriva cioè la politica della disintermediazione, oggi centrale ad esempio con l’utilizzo, mai citato esplicitamente durante il convegno, ma di sicuro implicitamente, della rete e dei social network. “Io credo che non ci sia una crisi del mondo cattolico che possa essere slegata dalla crisi, e dal vuoto, della società italiana”, è la tesi dell’ex direttore dell’espresso, oggi titolare di una striscia informativa quotidiana sull’emittente pubblica. “Si è impoverito il pensiero politico, le associazioni di categoria, pensiamo all’impoverimento del dibattito. Ernesto Galli della Loggia ha parlato di eclisse dei cattolici, io penso che l’eclisse sia di tutti”.
Per Damilano le responsabilità sono da cercare in diversi luoghi, anche tra le gerarchie della Chiesa e persino dentro la stessa presidenza della Cei. “C’è stata una lunga stagione in cui la presidenza della Cei si è assunta una direzione diretta, stimolando direttamente i laici a non mettersi di traverso, perché tutto questo si sarebbe mediato direttamente dal vertice ecclesiastico”, è l’attacco di Damilano. Che in questo vede delle conseguenze sullo stesso territorio italiano, che oggi esprime verso la politica una certa avversione, ostilità, o al massimo nostalgia dei grandi leader. Così accade che i valori diventano “puri”, non compromissibili, ingrossando cioè le linee del voto dell’antipolitica, con il rischio di una radicalizzazione sempre più aspra. Ad esempio su temi come l’aborto, di cui, tanto negli Usa quanto in Italia, oggi si finisce per parlare solamente in termini “divisivi”. Fino al pericolo ultimo “di utilizzare il nome di Dio, e i presunti interessi della Chiesa, come bandiera per giustificare un’esistenza, nel supermarket della politica, per darsi un’identità che altrimenti non c’è”.
DE RITA: “MENTRE LO SPIRITO DEL MONDO AVANZA, QUELLO DELLE CAPACITÀ POLITICHE E RELIGIOSE INDIETREGGIA”
Diversa la visione del sociologo Giuseppe De Rita, secondo cui non c’è più un’identità oggi distinta tra quella dei cattolici e dei laici. Tanto gli uni, quanto gli altri, per il sociologo, sono oggi minoritari, “sconfitti da un mondo che continua ad andare avanti per proprio conto, ma non tenendo conto della cultura religiosa e politica di un intero popolo”. Il mondo di chi lavora segue oggi la propria autonomia, mentre la politica si limita a curare gli effetti avversi dell’innovazione senza starvi dentro. I cattolici finiscono addirittura per stare in difesa, e difendere ciò che c’era dimenticandosi di quello che c’è o che ancor meglio ci sarà. “Lo spirito delle professioni, dice Massimo Cacciari in un suo recente libello, ‘Il lavoro dello spirito’, avanza, mentre quello delle capacità politiche e religiose non avanza”. Non basta insomma garantire una realtà esistente. Purtroppo, però, “nessuno sa lavorare sull’esistente. Lo dico da uno che lavora solo sull’esistente. Il lavoro professionale, intellettuale, militare, finanziario, ha dentro il lavoro dello spirito, perché è inarrestabile. Mentre noi rincorriamo, prigionieri di un vecchio mondo, perdente”, dice De Rita, per il quale “pensare alla polarità tra laici e cattolici non ha più senso”.
GIOVAGNOLI: “I CATTOLICI NON SONO SCOMPARSI DALLA POLITICA, HANNO INTRAPRESO UN ALTRO CORSO”
Prova invece a prendere un’altra direzione Giovagnoli, secondo cui “non è vero che i cattolici siano scomparsi dalla politica, ma hanno intrapreso un’altro corso”, ma la stessa presenza dei cattolici in politica “oggi facciamo fatica a vederla”. L’attenzione dello storico si è focalizzata cioè su una serie di processi, susseguitisi dal ’94 in poi, che lo portano a chiedersi se il sistema politico italiano sia stato abbastanza opportuno per affrontare i problemi di una società che cambia, e che spesso si impoverisce. “Il sistema politico italiano troppo spesso finisce per esaltare la conflittualità, mentre noi dovremmo al contrario governare i processi sociali”, sostiene Giovagnoli, al cui avviso “la politica è diventata inospitale verso i cattolici per le loro preoccupazioni verso il bene comune”. Sulla sfondo, oltre che sul tavolo degli imputati, resta però la gestione Ruini, e il tipo di scelta del “ruinismo”, da una parte dei “valori non negoziabili” e dall’altra nell’interlocuzione con Berlusconi.
ZAMAGNI: “CI SONO GRANDI QUESTIONI CHE NON POSSONO ESSERE RILEGATE A UN LIVELLO STRUTTURALE”
La discussione va però spostata, secondo l’economista Zamagni, verso altri orizzonti. Ad esempio sulla distanza che intercorre nella concezione del potere come “influenza”, che “ha l’obiettivo di incidere sui comportamenti umani”, o come “potenza”, che “pretende di modificare le regole del gioco, l’assetto istituzionale”. “A me sembra che nell’ultimo trentennio nel variegato mondo cattolico del nostro Paese sia andata diffondendo la tesi secondo cui la responsabilità del mondo cattolico si esaurirebbe nel momento prepolitico, ovvero in quello dell’esercizio del potere come influenza”, dice Zamagni. Così il fenomeno che ne è derivato è quello della diaspora cattolica, con la conseguente “adiaforia etica degli stessi”, “una posizione di indifferenza”. “È evidente che questo sta creando problemi seri”, spiega l’economista. “Nessuno sta pensando al partito cattolico, né a riedizioni della Dc”, chiarisce riferendosi alle voci che lo hanno riguardato negli scorsi tempi. Ma a un soggetto che si occupi delle grandi questioni, come la guerra o l’ambiente, che non possono essere rilegate “al livello strutturale”. “Giovanni Paolo II citò l’espressione ‘strutture di peccato’, ma tutti lo hanno dimenticato”, mentre “i cattolici vivono una sorta di auto-delegittimazione, come quella dell’essere lievito nella pasta”, o di “pensare di cambiare le istituzioni agendo sui comportamenti individuali”. Che può essere vero, ma solo nel lunghissimo tempo, sostiene Zamagni. “Possiamo aspettare, davanti alle ingiustizie, di cambiare il cuore di chi guida la danza?”. Sono le due posizioni di Sant’Agostino e di San Tommaso. Per il primo la politica serve solo a mettere un freno al male, il Katéchon, per il secondo serve invece a realizzare il bene. “Questo problema diventa oggi particolarmente rilevante quando si pensa alla comunanza etica nell’era del pluralismo etico, la grande sfida di oggi”. Davanti a cui, è la chiosa di Zamagni, “i cattolici devono battere un colpo”.
TARQUINIO: “OGGI SI VIVE UNA IRRILEVATA RILEVANZA, MA C’È UN PROBLEMA DI RAPPRESENTANZA E DI SPERANZA”
Ma la realtà di oggi, come spiega il direttore Tarquinio, è quello della “irrilevata rilevanza”. “C’è una rilevanza di ciò che i cattolici fanno nella società italiana ma che ha poca o nulla rilevanza mediatica, non interessa forse molto a quelli che osservano la realtà italiana dalle pagine dei giornali. Poi gli osservatori e gli analisti vedono il male ma anche tutto il bene che c’è. Quanti oggi spiegano che negli ultimi anni i cattolici hanno raddoppiato il loro impegno sociale?”, domanda. Il problema, spiega, non è solo per i cattolici ma per tutti. “L’esilio dei cattolici nella politica nasce dalla inabilitabilità delle troppe case a politiche a disposizione”, è la tesi di Tarquinio, che per renderla visibile porta ad esempio il tema del conflitto in Ucraina. “Ci sono almeno il 60 per cento degli italiani che non sono dubbiosi su quanto sta accadendo, ma sono proprio all’opposizione. Doveva essere la guerra lampo di Putin, poi la resistenza trionfante degli ucraini, siamo dentro una guerra endemica che sta maciullando gli ucraini, e alla quale noi partecipiamo facendo le sanzioni, ma non quelle che servono. Ascoltando tutte le presunte autorità morali, ma non quelle che provano a dire qualcosa di diverso, a cominciare dal Papa. Ma se il problema è togliere i soldi a Putin, dovete spiegarmi perché stiamo ancora comprando il gas ai russi, dandogli un miliardo di euro al giorno, mentre diamo un milione al giorno all’Ucraina per difendersi. Stiamo alimentando la guerra in maniera diseguale. Non venite a dirmi che sia una questione di principi in questa guerra, io non ci credo: altrimenti, pacta sunt servanda, tutti avrebbero rispettato i patti”. Forse, chiosa Tarquinio, “se ci sarebbe stato un Aldo Moro le cose sarebbero andate diversamente”. Ma nella storia “i cattolici si sono organizzati in partito quando c’è stato bisogno di ricostruire il patto civile. Non siamo in una situazione di questo tipo, ma ci sono rischi nello scenario che sta andando avanti. Credo però che nessuno possa pensare di andare avanti da soli, come che siano fallimentari le esperienze messe in campo fino adesso”. C’è insomma per Tarquinio un “problema serio”, di “rappresentanza” ma anche di “speranza”.
RICCARDI: “LA QUESTIONE DEI CATTOLICI È UN RIFERIMENTO COSTANTE, OGGI BISOGNA RIPENSARE IL CIRCUITO DI VITA DEI CATTOLICI”
Tuttavia non si può non ricordare, è la conclusione di Andrea Riccardi, che “nelle varie stagioni della storia italiana la questione dei cattolici è stata un riferimento costante”, con la parentesi di una speciale “eccezione democristiana”. Anche se oggi “il problema tra diaspora e unità sembra lontano anni luce”, sostiene Riccardi. “Non dobbiamo vergognarci della storia, ma dobbiamo meravigliarci che oggi la questione cattolica non c’è quasi più. Prima di tutto per i partiti politici. Nella grande crisi sorge la risposta di Ruini. Non eravamo d’accordo, ma avuto il coraggio di una iniziativa, che ha portato a un fatto strutturale: la Cei come un soggetto per la presenza politica dei cattolici. Cosa che non era mai esistita prima”, dice Riccardi. La questione dell’irrilevanza dei cattolici sarebbe però per Riccardi un capitolo di un’irrilevanza più generale, tanto della secolarizzazione della società ma anche del cambiamento antropologico dell’Io dell’individuo nel mondo globale. Cosa significa essere rilevanti in una società così complessa? “Il mondo cattolico sarà irrilevante ma c’è. I corpi intermedi si sono diluiti, ma ci sono ancora”, sostiene il fondatore di Sant’Egidio. “C’è un tesoretto di vita, di opere, di vissuto, di preghiera, il cattolicesimo è sfilacciato ma c’è ancora ed è l’ultimo corpo intermedio. Allora perché non parla, non interloquisce, non trova la parola, o la trova nelle sue istante ecclesiastiche che però non riescono a rappresentarlo?”, è la domanda dello storico. “C’è tutto un gioco a una fatica di ritrovare la parola. Ma qualcosa c’è, significativo. Un problema di leadership, di cultura. Mircea Eliade diceva che il mondo contemporaneo si risveglierà alla vita dello spirito mediante la cultura. Ma oggi noi assistiamo a un fenomeno di deculturalizzazione delle religioni”, come nel tema delle religioni non di cultura ma di “sentimento”, e si guardi a tal riguardo al neo-pentecostalismo in America Latina, ma non solamente a quello.
“Il cardinale Ruini è stato il primo a porre in Italia il problema dell’Islam, il problema degli stranieri. Noi pensiamo a una fede pensata che diventa cultura”, dice Riccardi. Allora qual è da ultimo il problema? L’irrilevanza nella politica, certo, ma anche “il cambiamento di meccaniche e di rappresentazioni che esistono nel mondo dei cattolici. Papa Francesco parla continuamente di clericalismo, ma io non ho mai visto una Chiesa clericale come la nostra, nella povertà di iniziative, di entusiasmo, di giudizi, di interlocuzioni sulla realtà”. O nell’idea che “compromettersi nella realtà sia qualcosa che vada a discapito degli altri”. Resta allora la profezia, tanto quella che viene dalla tradizione biblica ma anche dalla “spinta” del Vaticano II, che per Riccardi oggi deve presentarsi come “immaginazione alternativa”. Che “sfida la complessità e costruisce scenari e visioni di cui manchiamo, su cui ci si conta e di cui ci si gioca”. Ma “l’interrogativo resta su una realtà che c’è, ma che è estremamente riservato e silenzioso”. Allora, la conclusione di Riccardi, è che “bisogna ripensare il circuito di vita di queste dimensioni”.