Fratelli d’Italia si schiera sulle principali partite tecnologiche: il cloud va affidato alle piccole e medie imprese italiane, lo sviluppo del 5G va fatto ripartire (anche con vendor cinesi), la regolamentazione europea delle Big Tech è benvenuta, TikTok è un social come un altro, il piano della rete unica va ridiscusso attraverso il Progetto Minerva e una “nuova Tim”
C’è un tema che domina le nostre vite e che però è stato ignorato durante questa breve campagna elettorale: la tecnologia. Un po’ perché gli elettori pensano soprattutto alla crisi energetica, all’inflazione e all’invasione russa dell’Ucraina. Un po’ perché si tratta di questioni complesse “in tempo di pace”, figuriamoci da comprimere nei mini video su TikTok che hanno colorato il dibattito politico. Fatto sta che proprio di TikTok e dei suoi legami con il regime cinese, del futuro del Cloud pubblico, della rete unica, di come sviluppare il 5G su cui viaggiano dati sensibili e la gestione delle industrie 4.0, di regolamentazione delle aziende tecnologiche, in pochi hanno preso posizione.
Formiche.net ha chiesto ai due principali partiti (secondo i sondaggi) quali siano le loro strategie nel settore tecnologico. Per il Pd ci ha risposto Anna Ascani, sottosegretario per lo Sviluppo economico. Per Fratelli d’Italia, alle stesse domande, ha risposto Alessio Butti, deputato, vicepresidente dell’VIII commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici).
Quale modello seguire per il cloud italiano? Devono essere italiani i data center o le società?
Sul cloud non abbiamo cambiato idee e le soluzioni adottate dovrebbero essere sempre improntate ad obiettivi di interesse nazionale: tutela dei dati personali, avvio di politiche industriali di sviluppo dell’innovazione, sostegno alle imprese nazionali, supporto alle università perché sviluppino ricerca applicata alle esigenze delle aziende che operano sul mercato nazionale. Purtroppo nulla di tutto questo. Sul cloud il governo ha avuto per mesi un mantra: l’Italia è in ritardo e quindi siamo costretti a rivolgerci a coloro che hanno la tecnologia.
Un principio del tutto infondato. Sul Cloud esistono in Italia piccole imprese che operano con eccellenza. Potevamo dar loro l’opportunità del Pnrr per sostenerle nell’acquisto di tecnologie da integrare con i loro asset. Il ministro Colao sa, ad esempio, che gli operatori di tlc, che lui conosce bene avendone guidato uno tra i più grandi, non sono proprietari di tecnologie di rete o del mobile. Eppure offrono servizi di prima classe. Lo stesso vale per il cloud e noi avremmo dovuto pensare alle Pmi italiane. Non a caso Francia e Germania hanno fatto scelte molto diverse da noi. Quanto ai data center, per rispondere all’altro quesito della sua domanda, la loro presenza su territorio italiano non garantisce alcunché, se la proprietà del data center è straniera.
Nel caso delle società americane di cloud (e nel Polo Strategico Nazionale dovrebbero figurare Google, Microsoft e Oracle) i dati personali degli italiani che saranno da loro ospitati sono sottoposti alla giurisdizione del Cloud Act americano, con violazione della nostra sovranità, con il nostro ordinamento che non può opporsi in alcun modo alle richieste degli apparati di sicurezza stranieri. In questi casi, infine, quando si tratta di soldi pubblici, dovremmo stare attenti a pensare alle nostre imprese invece di far crescere il Pil degli altri, con soldi che peraltro dovremo restituire con gli interessi.
La direzione intrapresa da Tim con il piano sulla rete unica presentato dalla nuova gestione è quella giusta secondo voi?
Sul tema siamo chiari e coerenti. E lo siamo stati senza soluzione di continuità negli ultimi tre anni. Siamo per un modello di rete pubblica, unica e wholesale only. Ed è una soluzione ben diversa da quella che è in discussione tra Tim e Cassa Depositi e Prestiti, che prevede lo scorporo della rete e la sua acquisizione da parte di Cdp, che ingloberebbe nel progetto le strutture di Open Fiber. Una soluzione il cui unico scopo sembra essere quello di strapagare con decine di miliardi una rete che vale ben poco, essendo in massima parte fatta di rame. Al contrario, il Progetto Minerva prevede, attraverso una serie di passaggi mirati, una “nuova Tim” che a quel punto sarà una società della rete, pubblica, unica e wholesale only, quotata in Borsa e con un titolo che riceverà a mio parere una spinta propulsiva senza precedenti. Il tutto senza perdere un solo occupato e con Cdp che invece di spendere ingiustificatamente decine di miliardi di euro si ritrova anche euro in più.
La regolamentazione delle Big Tech non è materia del parlamento italiano. Ma come deve porsi l’Italia davanti ai vari provvedimenti della Commissione europea? Dma, Dsa, Data protection Act, Data Act, AI Act: una slavina di regolamenti e di decisioni che colpiscono le società americane (e molto meno quelle cinesi)
Innanzitutto l’Italia deve applicare tutte le norme che lei ha citato. Sono norme studiate per dare ruolo e autonomia all’Europa e renderà non soggiogabile da altre potenze, siano esse americane o cinesi. Noi tutti dobbiamo difendere le prerogative di sovranità digitale e industriale dell’Europa e, per coerenza, del nostro Paese. Pensare che queste norme europee colpiscano le società americane e non quelle cinesi è fuorviante. Gli europei sono da anni perfettamente profilati anche nelle emozioni di grandi Big Tech americani. Non farei distinzioni in un mondo multipolare. L’Europa deve cercare la sua strada. Né vale la considerazione se dobbiamo essere più amici degli uni o degli altri o se dobbiamo fidarci di più degli uni o degli altri. La sovranità vuol dire sviluppare proprie imprese, sostenere la ricerca, creare occupazione e competenze sull’innovazione. Non servono gli schieramenti ideologici.
In questa campagna elettorale c’è stata la corsa della politica a cercare voti su TikTok. Che la piattaforma sia di proprietà cinese e che i recenti rapporti sui presunti legami con il Partito comunista cinese sono elementi di preoccupazione per lei?
I social servono a profilare gli utenti, sono nati per questo. Non mi pare ci sia alcuna sorpresa sul ruolo di TikTok. È un ruolo simile a quello dei GAFAM americani. Chiediamoci invece come proteggere i dati personali degli italiani e degli europei. Dati che fanno gola a tutti. Quanto ai rischi di sorveglianza di massa, mi pare che il problema si ponga pedissequamente per una serie di Paesi anche della nostra area occidentale e democratica. Consideri che uno dei più importanti software di sorveglianza di rete usato dai cinesi è stato fornito da una società americana. Dobbiamo affrontare queste tematiche sapendo che vanno difese le prerogative dello Stato, con la consapevolezza che molte società multinazionali sono ben più potenti dei singoli Stati e i loro interessi spesso confliggono con gli interessi dei cittadini.
Parlando sempre di Cina, come dovrebbe muoversi l’Italia sul 5G con riferimento ai cosiddetti fornitori “ad alto rischio” cinesi?
È scattato un muro contro muro che ha affossato il 5G. Si è fermata la corsa tecnologica internazionale, si sono fermate le cooperazioni tra università e ricercatori dei vari Paesi. Molte parti del mondo hanno fermato le macchine sul 5G, che vuol dire innanzitutto internet industriale ovvero Industry 4.0. Vedremo che contraccolpi ci saranno su industrie grandi e piccole. Ne va della crescita economica e dell’occupazione e l’Italia deve riflettere su un tema così complesso. Al contrario vedo che altri Paesi europei continuano a cooperare e fare affari commerciali con la Cina e mi pare che lo stesso vale per molte società americane. Ripeto, il tema non è ideologico e va affrontato con la ricerca delle reciproche convenienze, guardando innanzitutto agli interessi dell’Italia.
La Commissione europea sta accentrando molto anche il potere di legiferare in materia di antitrust. L’Italia deve mantenere una fetta di controllo oppure siamo in un mercato talmente globalizzato che la scala europea è ciò che serve per affrontare i grandi colossi digitali?
Le norme antitrust europee hanno una missione precisa: difendere la competizione e tutelare gli interessi dei consumatori. Le norme antitrust europee servono quindi anche per tutelare le aziende italiane dallo strapotere anti-competitivo delle grandi multinazionali del digitale, che il più delle volte europee non sono. Noi abbiamo bisogno di far crescere le nostre aziende e il mondo appare meno globalizzato che in passato. Anzi è destinato ad essere sempre più segmentato territorialmente. Ben vengano, quindi, le norme europee di tutela della competizione.