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Come gli italiani vedono il mondo e la propria democrazia (non bene)

La posizione della popolazione italiana sui principali temi caldi della politica internazionale. Dalla guerra in Ucraina, ai rapporti con l’alleato statunitense, alla Russia e alla Cina. Un’indagine del German Marshall Fund fa luce sulle preferenze degli italiani

Il German Marshall Fund, un think tank statunitense, ha pubblicato un dossier con l’intenzione di descrivere cosa pensano gli italiani della politica internazionale del proprio Paese, attraverso quesiti posti ad un campione di cittadini. Dal report emergono chiaramente i trend riguardanti lo stato della democrazia, il gradimento riguardo a certi paesi, la posizione della popolazione sui principali eventi internazionali.

Il dato che colpisce immediatamente è l’opinione pessimistica che gli intervistati hanno dello stato della democrazia italiana. I due terzi sostengono che la democrazia nel nostro Pase sia in cattivo stato o in pericolo, e la grande maggioranza di questi si trova tra l’elettorato di Fratelli d’Italia (Fdi) e del Movimento Cinque Stelle (M5s). Naturalmente non è dato sapere come si tradurrà questo senso di sfiducia alle urne, se aumenterà l’astensionismo o i voti della destra.

Tema particolarmente spinoso è quello del rapporto con gli Stati Uniti e le relazioni con i loro avversari, Cina e Russia. Più di un italiano su due sostiene che l’America sia il Paese più influente del mondo, ma il quaranta per cento degli intervistati lo vede come un fatto negativo. Probabilmente Washington non si deve preoccupare, dal momento che la maggior parte dei sostenitori dei principali partiti candidati al governo (Pd, Fdi e M5s) vedono di buon occhio la sua influenza internazionale. Il dato potenzialmente più preoccupante per l’alleato d’oltreoceano è che tra i membri dell’Unione Europea, l’Italia è quello con il più alto tasso di percezione negativa degli Stati Uniti, quello in cui si prevede maggiormente il declino americano nel prossimo lustro e l’ascesa della Cina.

Come ricorda lo stesso dossier, l’Italia è la terza più grande economia europea, un membro del G7 e un player importante per la sicurezza nel Mediterraneo, insomma un partner cruciale in Europa. La politica americana dovrebbe quindi prestare forse più attenzione al proprio alleato e pensare a iniziative che ne aumentino l’attrattività.

Per quanto riguarda l’Unione Europea, invece, non sembrano esserci particolari derive euroscettiche all’orizzonte. Tre quarti degli italiani considera l’Ue importante per la propria sicurezza nazionale, anche leggermente di più della Nato, e quasi il cinquanta per cento ritiene che Roma dovrebbe gestire il proprio rapporto con la Cina e la Russia tramite l’Ue. Naturalmente possono esserci differenze tra le posizioni della leadership di un partito e la sua base elettorale, ma il dato è piuttosto incoraggiante per Bruxelles nell’eventualità di un governo Meloni.

Il dato forse più interessante da tenere d’occhio in questo momento è quello che segnala l’ostilità alle politiche intraprese finora riguardo alla guerra in Ucraina. Un intervistato su due è contrario sia al continuare a fornire armi ed equipaggiamento a Kiev, sia a intervenire sul campo in futuro con truppe Nato. Su questo punto il campione si esprime a favore (più del sessanta per cento) di misure come perseguire penalmente la Russia per crimini di guerra, accogliere un grosso numero di rifugiati, imporre sanzioni più dure contro Mosca.

Sulla Repubblica Popolare Cinese i dati mostrano un cambiamento rispetto all’anno scorso: l’influenza internazionale percepita è scesa da trentasei a ventinove per cento, rimanendo costanti le persone che la ritengono un elemento negativo, una su due. Su questo tema anche a livello governativo sono aumentate le misure di contenimento di Pechino in Italia, ma l’incognita rimane se questo trend continuerà con un governo di Fdi.

Insomma il popolo italiano non sembra particolarmente allineato con le scelte dei propri governanti e delle dirigenze di partito. Questo potrebbe essere un elemento che ridurrà lo spazio di manovra a disposizione del prossimo governo eletto, anche se non necessariamente in negativo.


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