Il 9 settembre si terrà una riunione durante la quale dovrebbero sorgere le linee di una politica energetica europea, segno concreto di coesione e forza dell’Ue. L’impressione però è che ogni Stato vada per conto proprio e che in generale si dia maggiore attenzione all’aumento della spesa pubblica, che alla diversificazione degli approvvigionamenti. Il commento di Giuseppe Pennisi
Grande attesa per il Consiglio “straordinario” dei ministri europei per l’energia in programma per giovedì 9 settembre. Dalla riunione dovrebbero sorgere le linee di una politica energetica europea che dovrebbe essere un segno concreto di coesione e, quindi, forza dell’Unione europea (Ue), ma si ha l’impressione che ogni Stato vada per conto proprio e che in generale si dia maggiore attenzione all’aumento della spesa pubblica, che alla diversificazione degli approvvigionamenti, strumento essenziale per giungere ad una maggiore concorrenza in un mercato essenzialmente monopolista.
È di domenica sera la notizia secondo cui Olaf Scholz, cancelliere del governo tedesco, ha approvato in queste ore un nuovo piano di aiuti economici dal valore di 65 miliardi di euro per combattere il caro energia. Questo nuovo piano di aiuti si inserisce all’interno della delicata situazione che è scaturita dalla chiusura a tempo indeterminato del gasdotto Nord Stream 1 che collega Russia ed Europa, per via di una manutenzione che potrebbe durare sino a quando il Cremlino lo vuole. È il terzo pacchetto di aiuti deciso dal cancelliere tedesco, nonché il più sostanzioso dato che i primi due avevano un valore di 30 miliardi.
Seppur si tratti di un piano di aiuti dal valore di 65 miliardi, il ministro delle Finanze Christian Lindner assicura che non sarà necessario alcun tipo di indebitamento per attuare tutti gli aiuti previsti dal nuovo piano. Infatti, le misure di sostegno previste dal pacchetto aiuti saranno possibili grazie ai piani già decisi per il bilancio del 2022 e del 2023. Si tratta, insomma, secondo Linder di “un pacchetto di aiuti da 65 miliardi di euro per aiutare i cittadini e le aziende a far fronte all’aumento dell’inflazione” e che sarà attuabile senza la necessità che il governo tedesco si indebiti. Il programma viene finanziato, infatti, in gran misura aumentando temporaneamente le imposte sugli extra-profitti di imprese del settore energetico ed è indirizzato a portare sollievo a famiglie a reddito basso o medio basso e a imprese (soprattutto piccole e medio piccole la cui produzione richiede un forte consumo di energia).
Differenti altri programmi, che precedono questo ultimo tedesco e che sono stati esaminati in un recentissimo studio del Fondo monetario internazionale. Ad esempio, la Grecia, appena uscita da 12 anni di stretta vigilanza da parte della “troika” (Fmi, Banca centrale europea, Commissione europea) dedica ben il 3% del Pil ad aiuti a questo o quello. Francia, Italia (di cui, ovviamente, non si conta il decreto in confezione) dedicano l’1% dei rispettivi Pil a “tentare di impedire – scrive il Fmi – che l’aumento dei prezzi (orchestrato dalla Federazione Russa per motivi politici-militari per mettere in ginocchio l’Ucraina – n.d.r.)”. In tal modo – aggiunge il Fmi – si finisce per fare regalie a famiglie floride, e anche ricche, che potrebbero sostenere l’aumento delle bollette. In un Paese come l’Italia – aggiungiamo – si finisce con il sovvenzionare gli evasori, come lo si sta facendo con il cosiddetto Reddito di cittadinanza. Non solo ma si abituano grandi imprese a sussidi di cui non avrebbero bisogno se gestite in modo efficiente: il “caso Alitalia” ne è una prova.
Daniel Yerding, vice presidente di Standard & Poor Global e noto esperto del mercato energetico (nonché autore del saggio di successo “The New Map: Energy, Climate and the Clash of Nation” ) descrive come numerosi impianti di produzione di energia in Europa ora messi a riposo (nucleare in Francia, gas nell’Adriatico di competenza italiana, ecc.) potrebbero essere facilmente attivati, riducendo l’arma di ricatto che è stata data alla Russia di Putin. Occorre tenerne conto nel disegnare e mettere a punto misure di sollievo.
In effetti, come ha scritto di recente Paul Krugman sul New York Times International ci sono ottime ragioni sociali “per derogare temporaneamente alle regole del mercato”. Lo ribadisce il Fmi: “Misure temporanee che fermano l’aumento dei prezzi o ne limitano gli impatti sono una risposta accettabile a shock di breve periodo in Paesi che hanno un’ampia capacità di bilancio”.
Questo potrebbe essere il filo conduttore della strategia europea che dovrebbe scaturire dal Consiglio straordinario del 9 settembre. Sorge, ovviamente, subito un problema: la Germania federale e la Norvegia (che sta limitando le proprie esportazioni di olii minerali prodotti nel Mare del Nord al fine di aumentare le scorte) hanno l’ampia “capacità di bilancio” di cui parla il Fmi, ma la Grecia, l’Italia, la Spagna, la Francia e tanti altri?