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Conservatorismo non fascismo. La destra di Giorgia Meloni secondo Buttafuoco

Di Giulia Gigante

L’accostamento al fascismo è del tutto improprio e inopportuno. Fratelli d’Italia è un partito conservatore che parla agli “esuli in patria”, esclusi dal pensiero unico, ed è legato agli Usa e all’Unione Europea. E con la destra al governo paradossalmente finisce il sovranismo che in assenza di sovranità non potrà che essere un flatus vocis. Conversazione con Pietrangelo Buttafuoco

Bisogna intendersi, quella di Giorgia Meloni non è una destra fascista, anzi, non ha niente a che vedere con l’idea socialista-rivoluzionaria di Benito Mussolini. Lo crede Pietrangelo Buttafuoco, scrittore, giornalista e opinionista, che sottolinea a Formiche.net come Fratelli d’Italia sia molto più vicino a un partito conservatore di ispirazione inglese. Eppure il dibattito sul rischio fascismo non è ancora chiuso, in questo settembre di campagna elettorale.

Mario Tronti in un’intervista a Repubblica ha disinnescato l’allarme insito nella narrazione con cui il Partito democratico sta conducendo la campagna elettorale. Per il padre dell’operaismo italiano non c’è alcun pericolo di un ritorno al fascismo. Cosa ha a che fare la destra di Giorgia Meloni con il ventennio?

Ho già fatto un corsivo in cui prendevo in giro questo atteggiamento, o meglio questa fissazione, con un semplice invito a leggere Renzo De Felice. Se c’è una dimensione diametralmente opposta all’idea socialista-rivoluzionaria di Benito Mussolini è proprio quella della destra e della sua trasformazione in partito conservatore. In quello di oggi non c’è traccia dell’humus, del fermento culturale, politico e ideologico di un partito del novecento. Non c’è proprio nulla. Anzi non c’è mai stato nulla. Perché non ha quel radicamento in un’idea sociale. Che poi sappia parlare al popolo, alla grande provincia italiana, alla periferia invisa alla ztl è un altro discorso. In quel mondo ha comunque raccolto un’eredità, ovvero quella degli esuli in patria che sono stati esclusi dal dettato ufficiale, dal pensiero unico e dalle parole d’ordine imposte dal “vivere in società”.

In un’intervista allo Spectator, rilasciata a Nicholas Farrell, Meloni afferma di essere più vicina al conservatorismo dei tories  piuttosto che al conservatorismo di Marine Le Pen.

Il conservatorismo italiano ha avuto una solida tradizione teorico-ideologica, mai pratico-politica, se non nella fase pre-novecentesca. Cioè l’Ottocento italiano è stato il secolo dei conservatori. Tant’è che il personaggio chiave è quello di Giuseppe Prezzolini che non a caso aveva un immediato riferimento agli Stati Uniti d’America. Poi bisogna anche considerare la grande stagione d’attesa, caldeggiata dallo stesso Indro Montanelli attraverso la fondazione del suo quotidiano. A quei tempi il Giornale fu, innanzitutto, una fornace di idee, di proposte e di sollecitazioni; in seguito il magnete, l’interlocutore di una grande avventura svoltasi nella scena internazionale. Vi scrivevano personalità che neanche Repubblica si poteva sognare di avere: Eugène Ionesco, Ernest Junger e Nicola Abbagnano. Figure protagoniste nell’ambito, appunto, della cosiddetta rivoluzione conservatrice.

Tempo fa, la leader di Fratelli d’Italia ha postato un video sui social per tranquillizzare la stampa estera su un possibile governo a sua guida. Video subito copiato e rincorso da Enrico Letta. Perché Meloni è costretta a dare conto del suo operato, della sua storia, all’opinione pubblica europea e occidentale?

Paghiamo il prezzo di un’astuta e ben architettata strategia che viene da lontano. La bravura e il genio di Palmiro Togliatti trovano esiti e risultati ancora oggi. La sua strategia (la costruzione dell’egemonia nell’immediato dopoguerra) fece in modo che il meglio del meglio dell’alta borghesia, dei fermenti intellettuali forgiati negli anni del consenso mussoliniano diventassero parte integrante del Partito Comunista. Lui ebbe questa intuizione di separare nettamente i campi di egemonia e di controllo. Infatti, il lungo viaggio attraverso il fascismo ebbe come stazione finale il Partito comunista. Quindi, nel frattempo che la Democrazia cristiana si occupava del parastato, loro erano onnipresenti nelle strutture delicate dell’immaginario e della gestione del pensiero, attirando il meglio dell’urbanistica, il meglio tra i giuristi, il meglio tra gli artisti. Prova a immaginare se ci fosse stato un ragazzo a interrompere il discorso di Enrico Letta con una contestazione. Prova a immaginare le ragazze che strappano il manifesto di Enrico Letta. Certamente, non avrebbero trovato Valeria Parrella a difenderle. Se qualcuno avesse osato difendere una scena del genere sarebbe stato come minimo denunciato e massacrato dai giornali. In buona sostanza, in quel campo sono consentite cose che altrove ti sono precluse. Devi continuare a pagare pegno. Però da un punto di vista tecnico la poltrona di Enrico Letta corrisponde esattamente al mobilio lasciato in eredità dal genio di Palmiro Togliatti. Mai nessuno muoverà loro delle obiezioni.

Molti addossano al centrodestra la responsabilità della caduta del governo Draghi. L’Italia aveva bisogno di tornare alle urne? C’era bisogno di una rottura?

È dal 2008 che non abbiamo un presidente del Consiglio che corrisponda a un risultato elettorale. Non so fino a che punto poteva durare. Ai tempi delle versioni di latino c’era quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Fino a quando si potrà abusare della pazienza? Io credo che gli italiani abbiano dato ampia prova di mansuetudine. Non mi meraviglierei se all’indomani del risultato elettorale del 25 settembre un’alchimia improvvisa rimettesse tutto secondo le logiche dello status quo. Inutile girarci attorno, l’Italia non ha sovranità. Quindi inevitabilmente farà quello che altrove verrà stabilito di fare.

Anche con un governo di centrodestra?

A maggior ragione possiamo ben dire, la destra riafferma la sua totale estraneità al Novecento legandosi agli Usa e all’Unione europea. Di Europa e di Occidente in Italia ne parlava solo la destra. E con la destra al governo paradossalmente finisce il sovranismo che in assenza di sovranità non potrà che essere un flatus vocis. Un esercizio retorico.


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