Dialogo sì, come auspicato da Kissinger tra Stati Uniti e Cina per evitare un’escalation. Ma attenzione: le autocrazie “prosperano” davanti alle “esitazioni”. La ricetta del presidente del Consiglio
“Ci siamo visti poco” ma “di recente, con gli eventi che sono degli ultimi dodici mesi, abbiamo avuto l’opportunità di avere in particolare una approfondita conversazione su quanto sta accadendo, forse un mese dopo l’inizio della guerra, su cosa fare ora, in seguito e su come affrontare le autocrazie”. Così Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, ha raccontato il suo rapporto trentennale con Mario Draghi pronunciando la laudatio in occasione della consegna al presidente del Consiglio italiano del “World Statesman Award 2022” della Appeal of Conscience Foundation.
Alla sfida tra democrazie e autocrazie, al centro dell’agenda dell’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden (che ha inviato un messaggio per l’occasione newyorchese), Draghi ha dedicato diversi passaggi del suo intervento. Dialogo – come auspicato da Kissinger tra Stati Uniti e Cina per evitare un’escalation – ma niente ambiguità, perché le autocrazie “prosperano” davanti alle “esitazioni”. È questa la ricetta del presidente del Consiglio.
Davanti al rischio di una nuova Guerra fredda, di una nuova “polarizzazione” innescata dalla guerra della Russia contro l’Ucraina, ha spiegato, sarà il modo in cui “trattiamo con le autocrazie” che “definirà la nostra capacità di plasmare il futuro”. Per questo, servono “franchezza, coerenza e impegno”. Bisogna essere “chiari ed espliciti sui valori fondanti delle nostre società”, la fede nella democrazia e “nello Stato di diritto”, il rispetto dei diritti umani, la solidarietà globale. Ideali che dovrebbero “guidare la nostra politica estera in modo chiaro e prevedibile”. Se si traccia una “linea rossa”, bisogna “rispettarla”. Se si prende un impegno, “dobbiamo onorarlo”. Anche per non “pentirsene dopo”. Bisogna essere pronti insomma a “collaborare” anche con i governi autoritari ma senza “compromettere i nostri valori fondamentali”.
Nonostante i tempi “cupi”, Draghi si è detto ottimista sul futuro. Ha citato anzitutto l’eroismo dell’Ucraina come un “potente richiamo a ciò in cui crediamo, a ciò che rischiamo di perdere”. Unione europea e G7 sono rimasti uniti, assieme agli alleati, “nel sostegno all’Ucraina” anche davanti ai tentativi russi di creare divisioni. Allo stesso tempo continua, ha sostenuto, il “nostro sforzo per la pace, come dimostra l’accordo per sbloccare milioni di tonnellate di cereali dai porti del Mar Nero”. E se solo l’Ucraina può decidere quale pace sia accettabile, ha ribadito: “dobbiamo fare tutto ciò che possiamo per favorire un accordo quando diventerà possibile”.
Draghi è a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Come raccontato su Formiche.net, il suo discorso, pronunciato a pochi giorni dalle elezioni, sembra rappresentare una sorta di “testamento” in politica estera, per rassicurare i partner internazionali ma anche per indicare un percorso da seguire al governo che verrà. E le parole pronunciate lunedì sera su democrazie e autocrazie sembrano rivolte anche all’Italia. Per esempio a chi, come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, leader rispettivamente della Lega e di Fratelli d’Italia, ha recentemente preso le parti del primo ministro ungherese Viktor Orbán, elemento di instabilità nell’Unione europea e di forte preoccupazione per l’amministrazione Biden.